Il latino del diritto di Federico Pergami.
Ha suscitato clamore mediatico l’incidente in cui è incorso David Cameron, che – durante un’intervista nel notissimo programma di Letterman- si è trovato in grave imbarazzo per non avere saputo tradurre il sintagma latino Magna Charta che, come è noto (o dovrebbe essere noto a tutti) indica, con la più precisa denominazione di Magna Charta Libertatum, lo statuto inglese (ciò che rende ancora più grave la figuraccia del leader conservatore del Regno Unito), la cui promulgazione, avvenuta il 15 giugno 1215, fu imposta dai feudatari al re d’Inghilterra Giovanni Senzaterra.
Composta di sessanta capitoli, il documento accoglieva le richieste baronali: dopo una premessa generale, relativa alla libertà e alla inviolabilità della Chiesa e dei cittadini, nonché le libertà e le consuetudini delle città, dei borghi e dei porti, la Magna Charta regolava i conflitti feudali, conferendo particolari prerogative al ceto baronale.
La parte seguente si occupava della magistratura, sia centrale che locale (in particolare, la “Court of common” venne insediata definitivamente a Westminster), dei diritti dei proprietari terrieri e della disciplina e relativa regolamentazione degli scambi commerciali.
Coerentemente con lo spirito del documento, esso conteneva –nella parte centrale- disposizioni fortemente limitative del potere del re, come la creazione di una commissione di 25 feudatari che avevano il compito di imporre al sovrano il rispetto della Carta.
Proprio per questo, il re Giovanni ottenne dal Papa, a cui aveva assicurato protezione e fedeltà, una bolla che annullava le disposizioni dello Statuto, la cui efficacia fu ribadita dopo la morte del sovrano dal consiglio che assunse il potere in luogo dell’ancora minorenne successore Enrico III.
Negli anni successivi, la Charta Libertatum fu notevolmente ridimensionata attraverso la limitazione dell’eccessivo potere acquisito dai feudatari e l’introduzione di disposizioni più favorevoli alla corona, assumendo, nell’anno 1125, l’aspetto definitivo.
L’episodio di cronaca, che ha coinvolto il primo ministro inglese offre la favorevole opportunità di rivalutare l’importanza della lingua latina non solo per l’uomo di stato, ma anche per il giurista, non già come mero strumento di citazione dotta, ma quale diretta testimonianza che la formazione dell’avvocato non possa prescindere dallo studio e dalla conoscenza delle origini storiche, quindi risalenti al diritto romano, dei principi dell’ordinamento che regolano la vita dei consociati.
Nonostante le recenti riforme degli ordinamenti universitari, orientate in direzione opposta, solo attraverso la conoscenza dell’ordinamento giuridico che ha regolato la vita dei Romani in tredici secoli di storia, dalla fondazione di Roma alla morte dell’imperatore Giustiniano, il moderno operatore del diritto potrà, dunque, veramente apprezzare e comprendere il contenuto delle disposizioni normative che egli deve compulsare quotidianamente nell’esercizio della propria attività, anche evitando le frequenti figuracce nell’utilizzo, spesso in modo erroneo o addirittura a sproposito, di espressioni quali, ad esempio, periculum in mora, iura novit curia, iudex a quo, iudex ad quem o res iudicata senza comprenderne appieno il significato ad esse sotteso.
Patrocinante avanti alle Magistrature Superiori
Professore presso il Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università Bocconi