La difesa delle frontiere dell’impero nell’attività normativa imperiale di Federico Pergami.
- Nella seconda metà del IV secolo d.C., la pressione nemica su tutti i confini dell’Impero romano era divenuta sempre più grave e minacciosa, tanto da costringere i titolari del potere ad una serie di controffensive, che li vedrà costantemente impegnati per tutta la durata del periodo di governo: ad Occidente, soprattutto nella difesa della frontiera del Reno contro gli Alamanni e del Danubio contro i Sarmati e i Quadi; ad Oriente, nella campagna contro i Goti e nella ricorrente minaccia della Persia.
La contingenza bellica era destinata a condizionare, sotto vari e reciprocamente interdipendenti profili, l’attività normativa imperiale, non soltanto in relazione all’oggetto e al contenuto degli interventi legislativi che, con frequenza non casuale, come vedremo, erano dedicati all’efficienza dell’esercito e all’organizzazione militare, ma anche, persino con maggiore rilievo, in riferimento alla regolamentazione dei rapporti fra i titolari del potere, con riferimento al problema dell’unitarietà o della divisione dell’Impero, in un periodo nel quale il fenomeno della ripartizione territoriale delle competenze, seppure con caratteristiche nient’affatto uniformi, si era già ripetutamente verificato – con Costantino e Licinio fra il 313 e il 324, poi con i figli di Costantino fra il 337 e il 350 – anche prima della formale divisione dei comites fra Valentiniano e Valente, avvenuta, come ci narra Ammiano, a Mediana nell’anno 364:
Principes, unus nuncupatione praelatus, alter honore specie tenus adiunctus, percursis Thraciis Naessum advenerunt, ubi in suburbano, quod appellatum Mediana a civitate tertio lapide disparatur, quasi mox separandi partiti sunt comites[1].
Del resto, proprio la nomina di Valente quale compartecipe del potere imperiale, a cui affidare il governo della pars Occidentis, era stata il frutto di una decisione che l’imperatore Valentiniano aveva assunto sotto pressante volontà dell’esercito[2], con la deliberata volontà di indurre il fratello a prendere le armi contro i Goti, che avevano sostenuto l’usurpazione di Procopio: Valens enim ut consulto placuerat fratri, cuius regebatur arbitrio, arma concussit in Gothos ratione iusta permotus, quod auxilia misere Procopio civilia bella coeptanti [3].
- Non può, dunque, essere considerato casuale il dato, in certo senso impressionante per la rilevanza statistica rispetto all’intera produzione normativa imperiale, che, in quel torno di tempo, gli imperatori, nel compiere il massimo sforzo per regolare, nei suoi molteplici aspetti, la vita dell’Impero, attribuirono speciale attenzione ai problemi dell’organizzazione militare, nel cui ambito, infatti, si rinviene una ricca gamma di interventi normativi, dedicati, per esempio, alle modalità di reclutamento dei soldati, all’obbligatorietà del servizio militare per i figli dei veterani, ai benefici che a questi erano concessi, nonché alle norme penali per le diserzioni, per le automutilazioni, per i tentativi di sottrarsi al servizio, accedendo – suffragiorum ambitione – a indebitos honores, fino alle disposizioni relative al trattamento di viaggio dei congedati o, infine, alla minuziosa disciplina della distribuzione dell’annona ai soldati.
- In questo quadro normativo, assume speciale rilevanza, in linea generale, l’attenzione posta dagli imperatori alla soluzione dei problemi economici che, nel momento della massima pressione del nemico alle frontiere e della conseguente necessità di afflusso di denaro alle casse imperiali, che tale situazione imponeva, presupponeva l’emanazione di una serie di interventi volti a disciplinare, in modo serrato, le regole dell’imposizione fiscale, in modo da renderla più redditizia per le finanze statali, nonché, con finalità analoghe, destinati ad una rigorosa ed oculata gestione di beni pubblici, fondi enfiteutici e patrimoniali e della res privata ovvero disposizioni che miravano ad assicurare l’efficienza delle pubbliche manifatture e dei servizi, con il deliberato obiettivo di migliorare, in generale, l’efficienza dell’apparato amministrativo.
- Con speciale riferimento al settore dell’erogatio dell’annona ai soldati impegnati nelle campagne militari, va subito osservato come, ancora prima della divisione dei territori dell’Impero tra pars Orientis e pars Occidentis, avvenuta, come accennato, nel giugno dell’anno 364[4], la cancelleria imperiale si era occupata della materia, con una costituzione, raccolta nella sedes materiae, il titolo VII.4 del Teodosiano De erogatione militari annonae, c. 9, formalmente attribuita nell’inscriptio a Gioviano, ma di incerta attribuzione:
Imp. Iovianus A. Secundo p(raefecto) p(raetorio). E vicensimo non amplius lapide milites sibi iubemus paleas convectare. Dat. v kal. Oct. Aedesa Ioviano et Varroniano conss.
Prima di occuparci del suo contenuto, è importante cercare di chiarire la data di emanazione del provvedimento: infatti, nonostante il Mommsen, nella sua edizione del Teodosiano, attribuisca a Gioviano (Iovinus nel manoscritto) l’intervento normativo, indicando, seppure dubitativamente, quale data di emanazione, il 27 settembre 364[5], nella versione del Codice di Giustiniano (C. 12.37[38].2) il provvedimento è stato attribuito ai suoi successori (Impp. Valentinianus et Valens AA. Secundo PP.) e datato da Edessa con il consolato del 364 (D. v K. Oct. Edessa Ioviano et Varroniano conss.).
Alcuni elementi depongono a favore della più risalente paternità: anzitutto, come notava, in linea generale, il Seeck[6], nelle costituzioni dell’anno 364, il nome di Gioviano risulta essere stato sostituito con quello di Valentiniano e Valente, mentre è stato conservato, oltre che nella costituzione in esame, nella sola CTh. 9.25.2 (Imp. Iovianus A. ad Secundum praefectum praetorio), sicché la circostanza che sia stato mantenuto, dà all’indicazione maggiore autorità di quanta ne abbiano, di regola, i nomi degli imperatori conservati nelle inscriptiones. Va notato, poi, come l’attribuzione all’imperatore Gioviano sia ulteriormente confermata dall’assenza della qualificazione, nella subscriptio, dell’appellativo di divus, come – di regola – nelle costituzioni dell’anno 364[7]: circostanza che consente fondatamente di ipotizzare che l’intervento normativo sia stato emanato quando l’imperatore era ancora in vita.
A bene vedere, del resto, come supponeva il Krüger, l’attribuzione a Valentiniano e Valente è frutto di un errato emendamento dei compilatori del Codice e la costituzione va correttamente attribuita a Gioviano (ad h.l.: Imp. Iovianus A. Th. recte)[8]: certo è che essa, però, non può essere stata emanata nel settembre dell’anno 364, quando Gioviano era già morto da molti mesi, né, per vero, ad Edessa, dove nessun imperatore si trovava in quello stesso torno di tempo: si deve allora supporre che l’emanazione risalga al settembre dell’anno precedente e che dopo l’indicazione di Edessa sia caduto il propositum (o l’acceptum), che riportava – correttamente – il consolato dell’anno successivo, considerando i tempi necessari – di regola qualche mese- all’invio ai destinatari delle costituzioni imperiali.
Nel merito, non si tratta di una costituzione di carattere generale, bensì di un provvedimento d’ordine, finalizzato a disciplinare la distribuzione dell’annona ai soldati, che riprende il contenuto di un analogo provvedimento di Giuliano, emanato nell’anno precedente[9]: in entrambi i casi, gli interventi normativi sono privi della natura di edictales generalesque constitutiones che, secondo il programma divisato nel 435, avrebbe dovuto caratterizzare tutte le leggi da ricomprendere nel Codice Teodosiano[10].
Si tratta, come è noto, di un fenomeno frequente nel quadro normativo della tarda antichità, in cui alla dovizia di produzione normativa non corrisponde sempre e necessariamente un giudizio positivo del suo contenuto e della sua qualità: l’interesse del potere centrale, infatti, si soffermava spesso su aspetti meritevoli, al più, di una qualificazione di natura amministrativa e che, invece, specialmente nel IV secolo, vengono ritenuti degni di ripetuti e solenni interventi imperiali: al contrario, solo un numero estremamente esiguo, nella massa di costituzioni emanate in questo periodo, assume la veste formale di edictum.
- Analogamente di carattere meramente esecutivo è la disposizione successiva, c. 10 CTh. 7.4, anch’essa anteriore alla spartizione dei territori dell’Impero fra i due fratelli Valentiniani:
CTh. 7.4.10: Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Symmachum p(raefectum) u(rbi). Protectores fori rerum vanalium iuxta veteris moris observantiam in annonarum suarum conmoda pretia consequantur. Dat. x kal. Mai. Antiochiae divo Ioviano et Varroniano conss.
Se non esistono dubbi sulla data di emanazione, il 22 aprile 364, è l’indicazione nella subscriptio della località di emanazione ad Antiochia a creare i maggiori problemi ricostruttivi, poiché nella città siriana i due augusti non potevano trovarsi in quel momento.
Se, per un verso, Gotofredo[11] ipotizzava potesse trattarsi di Insula Antiochia, località vicina a Costantinopoli, Seeck[12] supponeva di sostituire il luogo di emissione con Pantichium, piccola stazione di sosta sul Mar di Marmara, anch’essa non lontana da Costantinopoli, dove gli imperatori potrebbero essersi recati per riaversi dalle febbri da cui, stando al racconto di Ammiano Marcellino[13], erano stati assaliti nella primavera di quell’anno: i compilatori del Teodosiano, dunque, avrebbero equivocato, forse per la caduta della lettera “P” nei manoscritti, scambiando [P]antichium con Antiochia.
A rendere verosimile una datazione anteriore alla divisione dell’Impero fra i Valentiniani, piuttosto che al 27 dicembre 364[14], come formalmente indicato nella subscriptio della successiva costituzione 12 CTh. 7.4, riportata con sostanziali modifiche nel Codice Giustiniano (C. 12.37[38].3)[15], è la località da cui provvedimento risulta emanato, Bonamansio, che era una stazione sulla tratta tra Filippopoli, dove gli imperatori si trovavano a fine maggio di quell’anno, come risulta da CTh. 8.5.19, CTh. 15.1.11 e CTh. 6.37.1[16] e Serdica, dove, dalla subscritpio di CTh. 12.12.3, risulta risiedessero il successivo 30 maggio:
CTh. 7.4.12: Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Victorem mag(istrum) mil(ilitum). In provinciis statione militum adfici possidentes Ursicini comitis suggestione cognovimus, a quibus superstatutorum grave atque inusitatum quoddam nomen cenaticorum fuerit introductum. Quod magnifica auctoritas tua missis conpetentibus litteris in omnibus provinciis iubebit aboleri, ut milites recordentur commode sua, quae in annonarum perceptione adipiscuntur, extrinsecus detrimentis provincialium non esse cumulanda. Dat. vi kal. Ian. Bonamansione divo Ioviano et Varroniano conss.
- Il più rilevante intervento normativo in materia è rappresentato dall’editto indirizzato ad populum, costituito dalla c. 13 CTh. 7.4:
Impp. Valentinianus et Valens AA. ad populum. Actuarii per singulos vel ut multum binos dies authentica pittacia prorogent, ut hoc modo inmissis pittaciis species capitum annonarumve ex horreis proferantur. Quod nisi fuerit custoditum, actuarius et susceptor, sed et officium iudicantis, quod non institerit huic iussioni, statutae obnoxium tenebitur. Dat kal. Oct. Aqvileia Valentiniano et Valente AA. Conss.
Rilevano, anche in questo caso, prima ancora degli aspetti contenutistici, i problemi prosopografici: il consolato indicato nella subscriptio (Valentiniano et Valente AA.) condurrebbe ad attribuire questa costituzione al 365[17], se non fosse che Valentiniano non fu più ad Aquileia, dove la costituzione risulta emanata, dopo una sosta nell’anno 364 durante il viaggio verso Milano[18]: la costituzione, dunque, deve essere riportata all’anno 364 e inserita nel quadro dei provvedimenti emanati per fronteggiare, sotto vari punti vista, le emergenze militari dell’epoca, come sembra confermato dal fatto che nei mesi successivi appaiono emanate diverse costituzioni dirette ai prefetti del pretorio (7.4.11 del 13 dicembre e 7.4.16 pubblicata a Sirmio l’8 aprile 365[19]), che suonano quali misure attuative delle direttive di massima enunciate in questo editto ad populum.
Per avere conferma di ciò, si può anzitutto supporre che il consolato di Valentiniano e Valente indicasse in origine la data in cui la costituzione, attribuita all’anno 364, fosse stata accepta o proposita al principio dell’anno successivo e che, caduti nella subscriptio gli elementi intermedi, sia rimasto ad indicare la data di emanazione.
Anche l’indicazione del 1 ottobre non è esatta, perché Valentiniano aveva lasciato Aquileia per Altino, dove si trovava già il 30 settembre, come risulta dalla subscriptio della pressoché coeva costituzione 1 CTh. 9.30 (dat. prid. Kal. Octob. Altino divo Ioviano et Varroniano conss.)
La costituzione, dunque, va riportata ad uno dei giorni precedenti, come ritiene il Seeck[20], supponendo che nella subscriptio sia caduta prima del “kal.” la cifra che lo indicava. Più drasticamente, il Gotofredo riteneva errata l’inscriptio, proponendo la correzione da “ad populum” in “ad po.praefectum”, «quia si ad Provinciales haec lex pertineret, ita ea inscriberetur, ad Provinciales, vel ita plenius, ad Provinciales et Possessores. Cum enim ad Populum lex emittitur, intelligitur Popolus urbis Romae» [21].
- Sotto il profilo del contenuto, la costituzione, nella forma solenne dell’editto, si prefiggeva l’intento di moralizzare e rendere meno gravosa la gestione delle spese militari e bene si coordina con la successiva costituzione sopra richiamata, la c. 11 h.t. che, infatti, suona come misura attuativa del principio annunciato ad populum nella c. 13 che, solo per un errore nella collocazione è stata inserita nella raccolta Teodosiana, dopo di questa, la quale impartiva al prefetto del pretorio Mamertino precise istruzioni affinché nessuna erogatio di species annonariae fosse effettuata prima della consegna, da parte degli actuarii, del diurnium pittacium:
CTh. 7.4.11: Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Mamertinum p(raefectum) p(raetori)o. Susceptor antequm diurnum pittacium authenticum ab actuariis susceperit, non eroget. Quod si absque pittacio facta fuerit erogatio, id quod expensum est damnis eius potius subputetur. In qua re officium gravitates tuae in speculis esse debebit, non sine detriment propri[arum] facultatum id futurum sciens, si neglexerit, ut praescribtae formae tenor custodiatur; nec pri[us] de horreis species proferantur et maxime capitationis, quam, ut dictum est, ad diem pittacia authentica fuerint prorogate. Dat. id. Dec. Trev(iris) divo Ioviano et Varroniano conss.
La data di questa disposizione attuativa, dunque, merita una rettifica, poiché, come per molte costituzioni dell’anno 365, anche per questa, che sarebbe stata emanata il 13 dicembre 364 a Treviri, il luogo non si concilia con la data, poiché non risulta che nell’anno 364 Valentiniano abbia soggiornato a Treviri e la precedente c. 62 CTh. 12.1 comprova che il 10 dicembre di quell’anno, l’imperatore si trovava a Milano. Né è corretto ipotizzare, nel caso, una datazione successiva, poiché il prefetto del pretorio Mamertino, destinatario della costituzione, cessò la carica tra la fine del mese di aprile e di giugno dello stesso 365, come è dimostrato dall’ultima costituzione a lui indirizzata nell’aprile di quell’anno (CTh. 8.5.26) e la prima CTh. 9.30.3 indirizzata, nel giugno 365, al suo successore Vulcacio Rufino.
Di fronte a tali aporie, il Seeck ipotizzava un’originale soluzione prosopografica, rammentando l’esistenza, a sole ventitré miglia da Milano, una località denominata Tres Tabernae, dove «mögen die Kaiser eine Villa besessen haben, die sie oft besuchten»[22] e ipotizzava che l’ablativo Tribus Tabernis potesse essere stato facilmente scambiato, specialmente se abbreviato, con Triberis, a sua volta spesso rappresentato dalle sigle Trev. o Triv.: così, leggendo Trib(us) Tabernis invece di Trev(iris) si concilierebbero facilmente luogo, data e destinatario.
A ben vedere, però, una simile ipotesi si presta a considerazioni critiche: se, per un verso, è vero che la località Tres Tabernae è effettivamente indicata nell’Itinerarium Hierosolimitanum o Burdigalense come una stazione per il cambio (mutatio) dei cavalli, otto miglia dopo Laus Pompeia, sulla strada per Piacenza[23], per altro verso, non si hanno evidenze archeologiche o notizie di altra natura circa l’esistenza in quella località di una villa imperiale o anche solo di una dimora destinata a servire da residenza imperiale. È noto che, nel Medioevo, esisteva nella zona un ospedale denominato Sancti Michaelis Atastaverna[24], che potrebbe riflettere nel nome una corruzione del romano Tres Tabernae. Addirittura, si potrebbe forse scorgere, in queste indicazioni, un indizio dell’esistenza, in località Tres Tabernae, di un più antico insediamento di qualche importanza, sul quale avrebbe trovato posto il convento ed ospizio medioevale.
Si tratta, però, di indizi troppo deboli e soprattutto non suffragati da appigli sicuri[25], considerando che anche ricerche più recenti, svolte sotto il vaglio della Soprintendenza delle antichità della Lombardia, non offrono testimonianze attendibili dell’esistenza, nella zona in esame, di ville signorili, adatte, seppure in via temporanea, a divenire residenze imperiali[26]. Inoltre, sotto il profilo prosopografico, è quantomeno discutibile che l’ablativo Tribus Tabernis fosse abbreviato in Trib., mentre la sigla di Treviri è usualmente abbreviata in Triv. oppure in Trev.
Sembra, dunque, più corretto ipotizzare che la spiegazione più plausibile per giustificare l’indicazione di Treviri nella subscriptio del testo in commento sia da attribuire al luogo in cui la costituzione, emanata qualche mese prima del 13 dicembre 364, è stata accepta o proposita in quella data: nella subscriptio, dunque, come in molti altri casi, sarebbe caduta l’indicazione della data e del luogo di emanazione –da ipotizzare, nel caso, in Milano – con la conseguenza che data e luogo della pubblicazione del provvedimento sarebbero stato confusi con quelli.
Tale ipotesi ricostruttiva, del resto, appare suffragata soprattutto dal contenuto del provvedimento in esame, considerando lo stretto legame con la sopra richiamata costituzione 13 CTh. 7.4, emanata ad Aquileia nel settembre 364 ed indirizzata al prefetto del pretorio Mamertino che, come accennato, prevedeva come nessuna erogatio di species annonariae fosse effettuata prima della consegna, da parte degli actuarii, del diurnium pittacium: essa, dunque, suona quale disposizione attuativa del principio generale, solennemente annunciato ad populum nella c. 13 h.t. L’emanazione di tale provvedimento attuativo, del resto, che, sotto il profilo del contenuto, risulta perfettamente coerente con la volontà imperiale di moralizzare e rendere meno gravosa la gestione delle spese militari[27], bene si colloca nello stesso torno di tempo, cioè fra il settembre e l’ottobre dell’anno 364, il che rende plausibile la pubblicazione a Treviri nel dicembre successivo.
- Una seconda disposizione attuativa del principio generale in tema di erogatio delle species annonariae sancito in CTh. 7.4.13, è rappresentata dalla c. 7.4.16:
Imppp. Valentinianus, Valens et Gratianus AAA. ad Probum p(raefectum) p(raetori)o. Actuarii nisi expleto triginta dierum spatio pittacia authentica confestim tradiderint, species, quas ex fiscalibus conditis dissimularint excludere vel numero, cuius ratiocinia pertractant, supersederint erogare, de propriis facultatibus vel militibus ipsis vel fiscalibus horreis adigantur inferre. Dat vi id. April. Sirmio Valentiniano et Valente AA. conss.
Anche in questo caso, il provvedimento, indirizzato al prefetto del pretorio Probo, non può essere stato emanato a Sirmio nell’anno 365, né in alcuno dei consolati successivi, poiché in quella località i due sovrani si trovarono, in occasione della divisione dell’apparato burocratico dell’impero – partiti sunt comites, scrive Ammiano[28] – solo nell’estate dell’anno 364: la località indicata nella subscriptio non può, dunque, che essere il luogo di pubblicazione, pur restando incerto, in considerazione della compatibilità dei consolati imperiali con la prefettura di Probo, quale sia la data più plausibile: basti osservare, a rendere ancora più complicata la ricostruzione della normativa imperiale, che nessuna delle quattro prefetture da lui ricoperte durante la sua lunga carriera, cade nel 365: è, quindi, escluso che le numerose costituzioni indirizzategli, sia da Treviri sia da altre località, datate con l’indicazione del consolato imperiale senza iterazione, siano state emanate in quell’anno. Ma oltre questa considerazione negativa non è possibile andare: quella che, sulla scorta delle notizie fornite da Ammiano Marcellino[29] e di una parte del materiale epigrafico, viene comunemente considerata la prima delle prefetture di Probo, si estende dagli ultimi mesi del 367, quando egli succedette nella carica al predecessore Vulcacio Rufino, fino all’anno 376 e comprende, quindi, tutti i consolati imperiali di quel periodo, successivi al 365, sicchè resta per lo più incerto a quale dei tre anni – fra il 368, il 370 e il 373 – le costituzioni vadano attribuite.
Al riguardo, del resto, è stato autorevolmente sostenuto che la prefettura del pretorio di Sesto Petronio Probo costituisce, anche a motivo del rinvenimento di relativamente recenti testimonianze epigrafiche[30], «uno dei nodi più intricati della ricerca prosopografica tardoantica» [31].
Certo è che, senza tale ostacolo, la costituzione in esame potrebbe essere agevolmente accostata, in ragione del suo contenuto, con la costituzione 11 h.t. del dicembre 364, di cui –senza dubbio- condivide l’identica ratio di politica legislativa e con cui si concilierebbe bene la data della pubblicazione a Sirmio, indicata nella subscritptio.
- Il problema della datazione del provvedimento 6 CTh. 7.14 in tema di distribuzione dell’annona ai militari, di natura non esclusivamente palingenetica, coinvolge, come accennato, una problematica più complessa, cioè l’esatta ricostruzione cronologica della legislazione indirizzata a Probo, che, anche per le connessioni con il tema in esame, merita una più approfondita analisi.
S’è detto che Sesto Petronio Probo ricoprì la carica di prefetto del pretorio almeno quattro volte: ne sono chiara testimonianza due iscrizioni dedicategli dai figli dopo la morte, nelle quali l’illustre esponente della classe senatoria è qualificato quale praefectus praetorio quater Italiae Illyrici Africae Galliarum[32], come pure è confermato dalle testimonianze epigrafiche che parlano di lui come di praefectus praetorio quater[33], praefectus quarto[34], bis gemina populus praefectus sede gubernans [35].
Un’altra indicazione proviene da una iscrizione, datata all’anno 378 –dedicata iv idus aug. DD.NN. Valente vi et Valentiniano ii AA. conss.– nella quale Petronio Probo è qualificato semplicemente come prefetto del pretorio di Illirico, Italia e Africa (praefectus pretorio per Illyricum Italiam et Africam), da cui è possibile ricavare che, probabilmente, questa fosse l’unica prefettura ricoperta sino a quel momento[36]. E analoghe notizie provengono dal racconto di Ammiano Marcellino[37], il quale attesta espressamente come Probo sia stato chiamato a reggere la prefettura di Roma alla metà del 367 in sostituzione di Vulcacio Rufino[38], morto durante la carica[39], a cui è ancora indirizzata un’ultima costituzione, la 4 CTh. 10.15[40]. Lo storico, inoltre, mostra di considerare proprio questa, in sostituzione del predecessore defunto, la prima delle sue prefetture, quando, narrando le vicende dell’anno 375, descrive Petronio Probo come praefecturam tunc primitus nanctus[41].
Su tali basi, la dottrina prevalente ha affermato che la prima prefettura di Probo sia quella iniziata nell’anno 367 sotto il regno dell’imperatore Valentiniano e proseguita sino all’elevazione alla porpora imperiale del figlio Valentiniano II[42], come è pure attestato da un passo di Rufino [43].
Ma la soluzione proposta dalla dottrina, anche la più autorevole, non appare affatto sicura, solo considerando il tenore di un’iscrizione veronese, da cui si ricava una successione temporale della carriera prefettizia del personaggio, in base alla quale, infatti, ad una prima prefettura dell’Illirico, sarebbe seguita una seconda delle Gallie e una terza dell’Italia e dell’Africa, coincidente con il momento in cui l’iscrizione veniva dedicata: praefectus praetorio Illyrici praef. praet. Galliarum II praef. Italiae atque Africae III [44].
Già il Mommsen[45], su tali basi e in forza dell’esame della costituzione del Teodosiano 11.1.15 del maggio 366, su cui dovremo espressamente tornare, ha infatti ipotizzato, con parere conforme, più di recente, del Jones[46], di ricostruire differentemente la carriera prefettizia di Probo, che si sarebbe articolata in quattro differenti incarichi, il primo del 364 per il solo Illirico, il secondo, relativo all’anno 366, per le Gallie, il terzo, di durata più lunga, tra il 367 e il 375 e il quarto, per il biennio 383-384, congiuntamente per Italia, Africa ed Illirico.
Ma anche tale risultato non convince, per la mancanza di appigli sicuri, a cui agganciarlo: anzitutto, è di ostacolo alla ipotizzata prima prefettura dell’Illirico di Sesto Petronio Probo nel corso dell’anno 364, il racconto di Ammiano, che parla per la prima volta di un incarico prefettizio del personaggio solo quale successore di Vulcacio Rufino, cioè successivamente all’anno 367 e lo dice ancora praefecturam tunc primitus nanctus nell’anno 375; soprattutto, nell’elencare l’organigramma delle cariche imperiali per l’anno 365, lo storico non lo nomina affatto e indica, invece, Mamertino quale prefetto del pretorio d’Italia, d’Africa e dell’Illirico[47].
Di fronte a tali insuperabili evidenze, il Jones ipotizza che Probo, nominato prefetto del pretorio dell’Illirico nel 363 o nel 364 da Giuliano o da Giovano, si sia dimesso alla fine del 365: ma neppure tale ipotesi può essere accolta, poiché contro di essa militano non soltanto il racconto dello storico antiochiano, che narra dell’assunzione della carica di prefetto del pretorio da parte di Mamertino già nel 361, nel momento dell’investitura a console[48], ma soprattutto in base ad una nota iscrizione di Colonia Julia Concordia, anteriore alla morte di Giuliano, che già lo qualifica prefetto del pretorio d’Italia e dell’Illirico[49]: con il che, l’assetto della più alte cariche imperiali all’inizio dell’anno 365 non pare ragionevolmente lasciare spazio per un’autonoma prefettura del pretorio dell’Illirico di Probo assunta prima della morte del predecessore Vulcacio Rufino.
S’è detto sopra che il Mommsen, per giustificare la successione cronologica delle quattro prefetture di Probo, di cui la prima risalirebbe addirittura all’anno 364, ha richiamato, oltre alle fonti epigrafiche, segnatamente l’iscrizione proveniente da Verona sopra richiamata, la costituzione 15 CTh. 11.1:
Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Probum p(raefectum) p(raetori)o. Unusquisque annonarias species pro modo capitationis et sortium praebiturus per quaternos menses anni curriculo distributo tribus vicibus summam conlationis implebit. Si vero quisque uno tempore omnia sua debita optat expendere, proprio in adcelerandis necessitatibus suis utatur arbitrio. Dat. xiii kal. Iun. Remis Gr(ati)ano et Dagalaifo conss.
Ai nostri fini rileva soprattutto il destinatario del provvedimento, il prefetto del pretorio Probo, in relazione alla data di emanazione, avvenuta con certezza – in considerazione della non confondibilità del consolato (Gratiano et Dagalaifo conss.) – nell’anno 366, come è pure confermato dal luogo di provenienza, poiché l’imperatore Valentiniano, come ci narra Ammiano, si era in effetti stabilito nel territorio dei Remi per tutto quell’anno e per una parte del 367[50].
Come giustificare la datazione all’anno 367 con l’indirizzo a Probo, già qualificato in precedenza come prefetto del pretorio?
In passato, la dottrina aveva ipotizzato un errore nel nome del destinatario, erroneamente indicato in Probo, anzichè in Rufino che, come sopra ricordato, ricoprì la carica di prefetto del pretorio almeno sino al 19 maggio 367 (CTh. 10.15.4): soluzione non accolta con favore[51], considerando, soprattutto, la maggiore attendibilità delle inscriptiones rispetto alle subscriptiones delle costituzioni del Teodosiano.
In verità, il Mommsen, che in un primo momento, annotando la costituzione di apertura del titolo De defensoribus civitatum, CTh. 1.29, sulla quale dovremo tornare, aveva escluso la possibilità di attribuirla all’anno 364, rilevando che a tale datazione “ostat, quod Probum tam Ammianus quam leges reliquae testantur praefectum factum esse a demum 368”[52]: a proposito del provvedimento in esame, al contrario, egli ipotizzava di conservare la data del 366, precisando: neque (ut errore dixi obstare ad 1,29,1) obstat, quod teste Ammiano Probus praefectus praetorio factus est a. 368; id enim spectat ad praefecturam maiorem Italiae, ante quam constat ex titulo Veronensi C.I.L. V. 3344 Probus administravisse praefecturas duas, alteram Illyrici, alteram Galliarum[53]. Ipotesi, quest’ultima, collegata alla attendibilità di una prefettura del pretorio delle Gallie di Probo in quell’anno, cui hanno aderito il Jones[54] e, più di recente, il Cameron[55].
Al contrario, il Seeck proponeva di postergare la data di emissione del provvedimento al 18 giugno 367, quando, come detto, è provato che Probo avesse assunto la carica, dopo la morte del predecessore Vulcacio Rufino.
Nessuna delle soluzioni sopra avanzate appare, in verità, condivisibile, specialmente quella del Seeck, poiché resta senza giustificazione l’ipotizzata alterazione della subscriptio, nella quale al consolato dell’anno 366 (Gratiano et Dagalaifo conss.) si sarebbe sostituito quello dell’anno successivo (Lupicino et Iovino conss.) e, soprattutto, dal momento che non convince l’ipotesi di una – voluta o casuale – sostituzione in consolato di una originaria indicazione con il postconsolato, soprattutto considerando l’inverosimiglianza dell’utilizzo di un accorgimento – adatto alle ipotesi di mancata conoscenza della coppia consolare o di abitudine nella menzione del consolato precedente in esordio d’anno – poco consono ad una datazione, come quella qui in commento (dat. xiii kal., Iun.), piuttosto avanzata.
Ma quello che non convince dell’ipotizzata datazione all’anno 367 deriva, soprattutto, dall’esame della costituzione CTh. 5.15, De omni agro deserto et quando steriles fertilibus imponantur, 20, sicuramente datata al 19 maggio 366 ed indirizzata al comes sacrarum largitionum Germaniano[56], il cui contenuto, molto simile alla costituzione in esame, induce a considerare che l’emanazione dei due testi sia avvenuta nel quadro di un unico disegno normativo di carattere unitario, relativo alla rateizzazione delle imposte, attuato, per un verso, nella gestione dei fondi enfiteutici e patrimoniali; per altro verso, nella riscossione delle species annonariae[57]:
CTh. 5.15.20: Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Germanianum c(omitem) s(acrarum) l(argitionum). Placuit, ut (enfyteuticorm) fundorum patrimonialiumque possessores, quo voluerint, quo potuerint te(m)pore et quantum habuerint pensionis paratum, dummodo non amplius quam in tribus per singulos annos vicibus, officio rationalis adsignet ac de suscepto ab eode(m) securitatem eodem die pro more percipiant, mod out intra Ianuarium iduum diem omnis summa ratiociniis publicis inferatur: gravissimae poenae subdendo officio, si cuiquam quolibet anni tempore, dummodo nequaquam numerum trinae inlationis excedat, solutionem facere gestienti negaverit susceptionis officium vel si moram fecerit in chirografo securitatis edendo. Super quo possessors apud curators vel magistratus aut quicumque in locis fuerit, qui conficiendorum actorum habeat potestatem, conveniet contestari, ut (et) de officii insolentia constet, in quod exercenda vindicta es(t, et) his possit esse consultum. Dat. xiii k. Iun. Remis Grat(iano) n.p. et Dagala(ifo conss.).
Infine, va pure considerato che la successiva c. 16 CTh. 11.1, sulla cui datazione sorgono gravi dubbi e complessi problemi prosopografici[58], ma che è certamente successiva alla c. 15 h.t., ribadisce il principio della tripertita satisfactio dei tributa fiscalia, presupponendo, evidentemente, una norma che tale principio aveva sancito[59].
Ancora più problematica, per quanto specialmente rileva ai nostri fini, cioè alla ipotizzata risalenza cronologica della costituzione CTh. 7.4.16 per inserirla nel quadro normativo destinato a razionalizzare le spese militari per disporre delle necessarie risorse per la difesa dell’Impero, è la costituzione di apertura del titolo del Teodosiano, De defensoribus civitatum, 1.29, sopra indicata dal Mommsen per escludere, almeno in prima battuta e salvo un più meditato ripensamento, l’attribuzione della costituzione all’anno 364:
CTh. 1.29.1: Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Probum p(raefectum) p(raetori)o. Admodum utiliter edimus, [ut] plebs omnis Inlyrici officiis patronorum contra potentium [d]efendatur iniurias. Super singulas quasque praedictae dioeceseos civitates aliquos idoneis moribus quorumque vita anteacta lau[d]atur tua sinceritas ad hoc eligere curet officium, qui aut provin[ci]is praefuerunt aut forensium stipendiorum egere militiam [a]ut inter agentes in rebus palatinosque meruerunt. Decurionibus ista non credat; his etiam, qui officio tui culminis vel ordinar[iis] quibuscumque rectoribus aliquando paruerint, non committat hoc mun[us]; referatur vero ad scientiam nostram, qui in quo oppido fuerint ordinati. Dat. v kal. Mai. divo Ioviano et Varroniano conss.
Sebbene la subscriptio dell’importante provvedimento normativo, istitutivo della figura del defensor civitatis nel quadro della legislazione tardoimperiale[60], apparentemente ineccepibile, attribuisca la data di emissione della costituzione al 27 aprile 364, tanto da indurre il Jones a scrivere che «the first date is difficult to emend without violence», il testo presenta due ordini di problemi: quello, già sopra esaminato, della qualifica del destinatario e della ricostruzione della carriera burocratica di Probo, nonché quello, che qui specialmente interessa indagare, dei tempi della introduzione nella normativa imperiale della nuova figura di funzionario.
Sotto tale ultimo aspetto, occorre anzitutto domandarsi se la creazione della figura di quello che comunemente viene indicato quale defensor civitatis, ma che nella costituzione in esame, nonché in quelle successive (c. 3[61] e 4[62] h.t.) è denominato patronus plebis o defensor plebis, sia consentanea con il periodo storico in esame.
In un risalente lavoro[63], seppure in via fortemente dubitativa, avevo sottolineato la problematicità di mantenere la datazione all’anno 364, ipotizzando una postergazione al 368: ma le riflessioni effettuate a proposito della legislazione d’emergenza in tema di gestione delle risorse militari nella seconda metà del quarto secolo mi inducono, re melius perpensa, ad avanzare una differente ipotesi ricostruttiva e mi fanno inclinare a favore di una datazione più risalente della costituzione in esame e, più in generale, ad una anteriorità della prima prefettura del pretorio di Probo rispetto alla precedente ricostruzione: ciò anche considerando che, diversamente ragionando, si dovrebbe ipotizzare, seppure senza alcun appiglio testuale a sostegno di tale soluzione, una erronea indicazione del nome del destinatario rispetto a quella risultante dall’inscriptio (Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Probum praefectum praetorio) che, alla luce del tenore del provvedimento, dovrebbe essere Mamertino.
Militano, a favore di tale revirement, ragioni di forma e di sostanza.
Anzitutto, un dato esteriore, seppure rilevante: la subscriptio della costituzione non offre formalmente obiettive ragioni di dubbio per modificarne la datazione e per fondatamente ipotizzare una datazione più tarda, al 365 o addirittura al 368, poiché ciò implicherebbe una non giustificata – per giunta massiccia – alterazione dell’indicazione del consolato del 364 (Divo Ioviano et Varroniano) a favore del primo (Valentiniano et Valente aa. conss.) o del secondo (Valentiniano et Valente II aa. conss.) consolato imperiale, ipotizzabile solo a motivo di una, per vero necessariamente generica, considerazione sulla frequente alterazione delle subscriptiones nel Codice Teodosiano[64].
Sotto il profilo sostanziale, inoltre, non appare probante a favore dell’alterazione della data di emissione del provvedimento la considerazione, avanzata in passato dalla dottrina, che aveva ritenuto come estremamente problematica la collocazione all’esordio dell’avvento al potere di Valentiniano di un progetto politicamente impegnato, quale era quello della istituzione di un organo a difesa della plebs contra potentium iniurias, come testualmente riferisce la costituzione, seppure in via sperimentale per il solo Illirico[65]: ciò che non sarebbe compatibile con l’iniziale indirizzo di politica legislativa della cancelleria imperiale, orientata piuttosto ad acquistare il favore della classe senatoria, come risulterebbe, tra l’altro, dal tenore della costituzione del Teodosiano, CTh.1.28.2 del 6 marzo 364, con cui si confermava la facoltà per i senatori di nominare, nelle province, defensores dei loro interessi, bensì con il più tardo orientamento antisenatorio, coerente con una datazione più tarda del provvedimento[66].
A ben vedere, però, il testo della costituzione 2 CTh. De defensoribus senatus[67], 1.28, utilizzata a favore della attribuzione di una datazione all’anno 368, non si presta ad un’interpretazione tanto sicura:
1.28.2: Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Clearchum vic(arium) Asiae. Habeant senatores [p]otestatem deligendi ex corpore suo singulos vel binos per singulas quasque provincias, [q]ui omnium patrimonia optentu sui ac munitione defendant, de[p]ensae quoque capitationis relevatione. Nam commodum principalem [d]ivalis Iuliani quod ad solos decuriones per gratiam iudicum pe[r]venisse dicitur, non ad curiales tantum, sed ad cunctarum lassas [g]entium utilitates iubemus communi lege transire. Dat. Prod. non. Mai. Nic(omedia) divo Ioviano et Varroniano conss.
Per un’esatta collocazione del provvedimento in esame, nel quadro della politica legislativa dei Valentiniani in esordio della carica imperiale, mette conto di rilevare subito come la data di emissione, come risulta dalla subscriptio, il 6 maggio 364, non si concilia né con la località della Bitinia, Nicomedia, che è fuori dalla rotta verso l’Occidente, nè con Adrianopoli, dove i due fratelli, dopo avere trascorso l’inverno a Costantinopoli attraverso la Tracia[68], si recarono nei primi giorni di maggio del 364[69]. In verità, neppure si concilia con Nicea, che non si trovava sull’itinerario fra Costantinopoli e Adrianopoli, come invece propongono di leggere, in luogo di Nicomedia, sia il Mommsen[70] che il Seeck[71].
Al contrario, l’imperatore Valentiniano era effettivamente a Nicomedia il 1 marzo di quell’anno, nel viaggio verso Costantinopoli da Nicea, dove, come ci racconta con sufficiente precisione Ammiano[72], era stato elevato alla porpora imperiale: tali rilievi, dunque, consentono di fondatamente ipotizzare che la costituzione sia stata effettivamente emanata a Nicomedia, ma non il 6 maggio, bensì il 6 marzo 364, considerando il facile scambio, nella tradizione manoscritta, fra Mai. e Mart[73].
Per quanto specialmente interessa rilevare, il testo sarebbe dunque uno dei primi interventi normativi di Valentiniano, ancora solo alla testa dell’Impero, che è considerato dalla dottrina[74], come ho sopra accennato, una testimonianza della politica filosenatoria adottata dall’imperatore, con cui si volevano estendere le prerogative dei defensores senatus, creati nel 361 da Costanzo con la c. 1 h.t.[75], affinché potessero compiutamente difendere gli interessi dei senatori contro il fisco.
S’è detto, però, di come tale ipotesi ricostruttiva meriti di essere attentamente riconsiderata: il contenuto della costituzione, infatti, come risulta dal suo tenore letterale, non è del tutto chiaro e non risulta accertato in modo incontrovertibile che la sua portata originaria fosse proprio quella che i compilatori vi hanno conferito, inserendola nel titolo De defensoribus senatus. Del resto, non si può fare a meno di notare che, mentre la prima parte del testo in esame sembra effettivamente ricalcare la precedente disposizione di Costanzo, rinnovando ai senatori la potestas eligendi loro rappresentanti in ogni provincia, già in essa non è chiaro, però, se i patrimonia omnium che essi debbono defendere, siano da intendere come omnium senatorium o omnium civium. E il dubbio è rafforzato dalla seconda parte del provvedimento, in cui, rifacendosi ad una disposizione di Giuliano[76], che sarebbe stata applicata solo a favore dei decurioni, si dispone che esso debba esserlo, invece, communi lege, non ad curiales tantum, sed ad cunctarum lassas gentium utilitates.
Non è, dunque, affatto sicuro che le cunctae gentes siano i senatori e il contesto generale, al contrario, depone a favore dell’interpretazione che quello in esame non sia un provvedimento esclusivamente a favore del Senato, ma piuttosto una generale misura di difesa, affidata sì ai membri dell’ordine senatorio, ma di tutti i cittadini – e non solo dei componenti del consesso – nei confronti del fisco: ipotesi che, sotto il profilo del contenuto, renderebbe coerente il tenore di questa costituzione con quella relativa alla istituzione del defensor civitatis e, quanto alla datazione, armonizzerebbe con la emanazione, da parte di Valentiano, di entrambi i provvedimenti in exordio imperii, cioè nel corso dei primi mesi dell’anno 364.
Ad una datazione più tarda, del resto, osta anche la CTh. 1.29.2 del 27 giugno 365 che, quantomeno nella versione giustinianea, CI. 1.55.1, qualifica il nuovo organo come defensor, generalmente inteso come defensor civitatis e destinatario di istruzioni imperiali sull’esercizio del suo ufficio, la cui carica doveva essere stata istituita già in epoca anteriore:
CTh. 1.29.2: Impp. Valentinianus et Valens AA. Senecae. Si quis de tenuioribus ac minusculariis interpell(an)dum te esse crediderit, in minoribus causis acta conficias: scil(i)cet ut, si quando quis vel debitum iustum vel servum qui pe(r) fugam fuerit elapsus vel quod ultra delegationem dederi(t) postulaverit vel quodlibet horum tua disceptatione rest(itu)tas; ceteras vero, quae dignae forensi magnitudine videb(un)tur, ordinario insinuato rectori. Et cetera. Dat. v k. Iul. Tyr[] Valentiniano et Valente conss.
- 1.55.1: Impp. Valentinianus et Valens AA Senecae defensori. Impp. Valentinianus et Valens AA. Senecae. Si quis de tenuioribus ac minusculariis interpellandum te esse crediderit, in minoribus causis id est usque ad quinquaginta solidorum summam, acta iudicialia conficias, scil(i)cet ut, si quando quis vel debitum iustum vel servum, qui per fugam fuerit elapsus, vel quod ultra delegationem dederit postulaverit vel quodlibet huiusmodi, tua disceptatione restitutas. Ceteras vero, quae dignae forensi magnitudine videbuntur, ordinario insinuato rectori. Dat. v k. Iul. Tyrici Valentiniano et Valente AA. conss.
Sia i compilatori teodosiani, che quelli giustinianei hanno inserito un frammento della costituzione indirizzata a Seneca nel titolo de defensoribus civitatum e, nella versione giustinianea, il destinatario è espressamente qualificato come defensor.
I testi presentano complessi problemi in relazione alla datazione e al luogo di emanazione, che divengono ancora più gravi con riguardo al contenuto delle disposizioni normative.
Sotto il primo profilo, la specifica indicazione del ruolo del destinatario, quantomeno nel testo conservato nel Giustinianeo, unitamente al fatto che un altro frammento della stessa costituzione[77], da individuarsi nella c. 4 De administrantibus vel publicum officium gerentibus distracta sunt vel donata, CTh. 8.15, indirizzata allo stesso Seneca e ugualmente datata 27 giugno 364, che richiama al rispetto e all’applicazione di una precedente disposizione normativa, ha indotto il Seeck, almeno nella prima fase della sua riflessione[78], ad individuare il riferimento, qua proxime constitutum est, nella costituzione 3 h.t., emanata l’11 aprile 364 e, di conseguenza, ad attribuire l’intero provvedimento all’anno 365, peraltro in coerenza con l’indicazione del primo consolato imperiale risultante dalla subscriptio di entrambi i testi (Valentiniano et Valente conss.)[79]:
CTh. 8.15.4: Impp. Valentinianus et Valens AA. Senecae Post alia. Vim illius legis aspicito eique pareto, qua proxime constitutum est, ut publicum munus agitantes nihil in suscepto mercarentur officio. Dat. v kal. Iul. Valentiniano et Valente aa. conss.
Anche il luogo di emanazione è fortemente problematico: la subscriptio di CTh. 8.15.4 non lo indica, mentre in CTh. 1.29.2, essa è mutila, Tyr. Al contrario, come s’è visto, nella versione giustinianea, il nome della località di emissione del provvedimento è indicata per intero, Tyricum, che è però luogo sconosciuto negli itinerari a nostra disposizione.
Il Seeck, conformemente alla proposta datazione al primo consolato imperiale, propone di leggere l’indicazione del luogo in Ticinum, dove l’imperatore può esservi occasionalmente recato, considerando, come è noto dal racconto di Ammiano, che Valentiniano soggiornò nella vicina Milano sino all’autunno 365[80].
Le difficoltà aumentano se si passa a considerare il contenuto dei provvedimenti in esame: CTh. 1.29.2 attribuisce a Seneca il potere di decidere le controversie di minore importanza che gli siano deferite, rimettendo le altre, quelle dignae forensi magnitudine, all’esame del governatore, mentre la c. 4 CTh. 8.15, come s’è detto, si riferisce ad un precedente provvedimento, qua proxime constitutum est, che vietava ai titolari di publica munera di mercari in suscepto officio: a seconda della proposta datazione di CTh. 1.29.2 e, più in generale, in base alla ipotizzata prima prefettura di Probo al 364 o in epoca successiva, tale disposizione viene rispettivamente identificata nella precedente c. 3 h.t.[81], emanata l’11 aprile 364 a Costantinopoli ed indirizzata al praefectus urbi Constantinopolitanae[82], che infatti aveva prescritto ai funzionari degli officia di astenersi a conparationibus per provincias, in quibus militant (CTh. 8.15.3) ovvero nella successiva c. 5 h.t.[83], che risulta emanata a Sirmio il 4 agosto 365[84], contenente un più generale divieto di attività commerciali per ogni administrator, fosse egli altior iudex, mediae dignitatis vel minimus.
A ben vedere, le due costituzioni non accennano alle funzioni del defensor plebis che, seppure in modo sommario, appaiono delineate nella costituzione di apertura del titolo del Codice Teodosiano, CTh. 1.29.1, che, come s’è visto, non attribuisce, quantomeno nella versione a noi nota del provvedimento, funzioni giurisdizionali o attività di sorveglianza dei funzionari imperiali e l’eventuale applicazione, nei loro confronti, del divieto di mercari in suscepto officio: ragioni testuali consentono di superare tale ostacolo e di ipotizzare l’inserimento della costituzione a Seneca in un quadro legislativo unitario e sistematico, finalizzato a delineare le funzioni e l’ambito di attività della nuova figura di funzionario imperiale.
A favore di tale ipotesi sono decisive, a mio giudizio, due considerazioni, fra loro reciprocamente interdipendenti, la prima delle quali è costituita dall’inserimento del provvedimento nel titolo de defensoribus civitatum di entrambe le raccolte normative, ma soprattutto l’espressa qualifica attribuita al personaggio nella versione giustinianea del provvedimento: è pur vero, come s’è più volte ricordato, che non possa essere attribuita piena affidabilità alle inscriptiones e alle subscriptiones del Codice di Giustiniano, frutto per lo più di ricostruzioni medioevali, ma non può essere sottaciuta la circostanza, paleograficamente rilevante, che il titolo di defensor è attribuito a Seneca nei due codici del XII secolo, il Cassinense e il Berlinese [85].
Se, dunque, la costituzione 2 CTh. 1.29 pare riferirsi all’epoca di introduzione, nel sistema burocratico dell’Impero, del nuovo funzionario denominato defensor plebis o defensor civitatis e, soprattutto, se l’altro frammento della stessa costituzione, CTh. 8.15.4, richiama, come ho sopra ipotizzato, la precedente costituzione 3 h.t.[86], datata 11 aprile 364, allora l’intero provvedimento in esame può fondatamente collocarsi al 27 giugno 365 ed offrire ulteriore conferma dell’attribuzione all’anno precedente, il 364 appunto, della c. 1 CTh. 1.29, nonchè, per quello che mette conto specialmente di rilevare, della risalenza cronologica all’esordio dell’azione di governo di Valentiniano della prima prefettura di Probo.
Soluzione che, fra l’altro, consentirebbe di risolvere, confermando il dato testuale emergente dalla subscriptio a favore di una datazione al 3 agosto 365, senza dovere ipotizzare una postergazione della c. 5 CTh. 8.15 al secondo consolato imperiale del 368[87], con utile appiglio per corroborare l’idea di un organico disegno normativo, attuato da Valentiniano nei primi anni di governo dell’Impero.
Tornando alla datazione di CTh. 7.4.16, è dunque a favore di una datazione all’anno 364 che ritengo, in definitiva, di inclinare, pur nella consapevolezza che, in considerazione della speciale complessità della vicenda e dei dati a nostra disposizione, qualunque soluzione adottata per la datazione dei provvedimenti imperiali in relazione alla carriera di Probo sia destinata a lasciare un’ombra di incertezza sull’esatta determinazione della successione delle cariche rivestite dal personaggio.
Del resto, già in passato tale problematica aveva suscitato, come ho accennato, gravi dubbi e ripensamenti repentini: basti considerare che il Mommsen[88] nel commento alla costituzione di apertura del titolo De defensoribus civitatum annotava: subscriptioni et huic et alteri XI.1.15 obstat, quod Probum tam Ammianus (27.11.1) quam leges reliquae testantur praefectum factum esse a demum 368), mentre nei Prolegomena[89] ipotizzava una datazione più alta della prima prefettura del personaggio, unitamente al fatto che, da parte sua, il Seeck propendeva per una collocazione al 368[90], seppure dopo una originaria propensione per il 364[91].
In conclusione, l’esame della legislazione imperiale nella seconda metà del quarto secolo, anche per la affinità di contenuto fra l’editto generale ad populum (CTh. 7.4.13) e le successive disposizioni attuative (cc. 11 e 16), offre, specialmente in relazione alla seconda delle due, qualche ulteriore rilevante indizio a favore della risalenza cronologica della prima prefettura di Probo all’anno 364: si tratta, a ben vedere, di un risultato contenutistico che costituisce il frutto del riordino cronologico dell’attività legislativa dei singoli imperatori succedutisi alla porpora imperiale, attraverso la ricostruzione palingenetica del materiale normativo conservato nei Codici e nelle fonti extragiuridiche, che offre ulteriore conferma della fecondità del metodo che, attraverso l’esame dei singoli provvedimenti imperiali, consente una migliore e più corretta ricostruzione, anche sotto il profilo degli aspetti contenutistici, della politica legislativa tardoantica.
- È tempo di tornare alla legislazione d’urgenza, destinata ad affrontare le emergenze militari della seconda metà del quarto secolo e, al riguardo, conviene esaminare le costituzioni 14 e 15 CTh. 7.4, entrambe dedicate al vettovagliamento delle truppe di frontiera.
Il primo provvedimento è una breve disposizione, indirizzata al prefetto del Pretorio Secondo, che risulta accepta a Calcedone il 1 dicembre 365: effettivamente, in quella località, all’epoca nelle mani dei partigiani di Procopio, Valente si trovava negli ultimi mesi dell’anno: come sappiamo dal racconto di Ammiano, infatti, l’imperatore ne aveva intrapreso l’assedio[92] per essere poi costretto a ritirarsi, perché minacciato dalle truppe nemiche, uscite da Nicea[93]: si deve, dunque supporre che la costituzione sia stata emanata prima della proclamazione di Procopio, ma resta inspiegabile come possa essere stata ricevuta a Calcedone il 1 dicembre[94]:
CTh. 7.4.14: Impp. Valentinianus et Valens AA. Secundo p(raefecto) p(raetori)o. Riparienses milites mensibus novem in ipsa specie consequantur annonam, pro tribus pretia percipiant. Acc. kal. Dec. Calchedone Valentiniano et Valente AA. conss.
La seconda costituzione, immediatamente successiva nella raccolta teodosiana, c. 15 h.t., pure dedicata all’approvvigionamento dei soldati, risulta identicamente riportata nel Codice di Giustiniano (C. 12.37[38].4):
Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Auxonium p(raefectum) p(raetori)o. Sicut fieri per omnes limites salubri prospectione praecipimus, species annonarias a vicinioribus limiti provincialibus ordinabis ad castra conferri. Et in vicinioribus castris constituti milites duas alimoniarum partes ibidem de conditis sumant nec amplius quam tertiam partem ipsi vehere cogantur. Dat. v non. Mai. Marcianopoli Valentiniano n.p. et Victore conss.
Si tratta, a ben vedere, di semplici disposizioni esecutive o interpretative di precedenti provvedimenti normativi, quasi atti di natura amministrativa, destinati a regolare situazioni di carattere contingente, piuttosto che norme di carattere generale, dalle quali poter ricavare informazioni utili sulle linee generali di politica legislativa, dettate per fronteggiare, nella seconda metà del quarto secolo, gli attacchi nemici a difesa dei confini dell’Impero.
Del resto, che quella che quella che noi conosciamo attraverso le disposizioni riportate nelle raccolte ufficiali non rappresenti neppure la rassegna completa degli interventi imperiali in materia di distribuzione dell’annona ai soldati nella seconda metà del IV secolo, è confermato da disposizioni successive che richiamano, in modo esplicito, precedenti provvedimenti normativi, di cui non è rimasta traccia nelle fonti a nostra disposizione.
Spiccano fra queste due costituzioni dell’anno 396 indirizzate al prefetto del pretorio Ilario, attribuite ad Arcadio ed Onorio, le cc. 22 e 23 CTh. 8.4:
CTh. 7.4.22: Impp. Arcadius et Honorius AA. Hilario p(raefectum) p(raetori)o. Neque scholae neque vexillationes comitatenses aut palatinae neque legiones ullae auxilia, qualeslibet ad provincias delegatorias de specierum praebitione pertulerint, audiantur, si pretia poscant ultra ea, quae generali lege divi patris senioris Valentiniani constituta sunt. Nec enim fas est, ut exigendis annonis militum nostrorum servientes nova possessoribus pro arbitrio proprio indicant. Sine mentione etiam pretiorum nullam delegationem valere praecipimus. Dat. iii kal. Iun. Med(iolano) Arcadio iiii et Honorio iii AA. conss.
Il primo provvedimento, emanato a Milano il 30 maggio, richiama espressamente – generali lege divi patris senioris Valentiniani constituta sunt – una disposizione de specierum praebitione, non conservata[95], con cui Valentiniano, per arginare gli eccessivi lucra degli esattori, aveva fissato un calmiere per l’aderazione richiesta dai soldati nella riscossione dell’annona militare[96].
La successiva costituzione, c. 23 h.t., è riportata pressoché identicamente nel Codice Giustinianeo (C.I. 12.37[38].8):
CTh. 8.4.23: Impp. Arcadius et Honorius AA. Hilario p(raefectum) p(raetori)o. Provincialium commodis nos convenit subvenire. Ad omnium utique numerorum sive vexillationum aut etiam scholarum tribunos per viros inl(ustres) com(ites) sublimitas tua faciat pervenire, ut meminerint faenum militibus isdem capitibus praestandum iuxta legem divi Valentiniani de quinta decima indictione nec tamen ad oppidum deferendum. Dat. xvi kal. Iul. Arcadio iiii et Honorio iii AA. conss.
La disposizione, emanata il successivo 16 giugno 396, richiama anch’essa una legge dell’imperatore Valentiniano (iuxta legem divi Valentiniani), che ugualmente non risulta conservata nelle raccolte ufficiali.
Si tratta, a ben vedere, un fenomeno frequente nella legislazione imperiale di età tardoantica, dal cui esame è possibile verificare l’esistenza di costituzioni raccolte nei Codici che, a loro volta, richiamano precedenti disposizioni, delle quali costituiscono la conferma, l’estensione o la rettifica, ma che i compilatori non hanno conservato e che, in definitiva, contribuisce ad allargare ulteriormente l’orizzonte dell’indagine sul disegno normativo imperiale.
- La disamina dei provvedimenti normativi della seconda metà del quarto secolo in tema di distribuzione dell’ annona militaris, emanati per garantire l’efficienza dell’esercito in un momento storico in cui la pressione nemica su tutti i confini dell’Impero imponeva alla cancelleria imperiale il massimo impegno, ha offerto sicura conferma dell’utilità della ricerca palingenetica, i cui risultati, seppure parziali e provvisori, lungi dall’essere confinati alla – pure utilissima – soluzione dei problemi prosopografici, hanno consentito di gettare qualche, seppur modesta, luce sul contenuto dei provvedimenti imperiali e sulle linee di politica legislativa, anche in settori, quali quello del corretto funzionamento dell’apparato burocratico-amministrativo e della soluzione dei problemi di natura economico-sociale, che rientravano a pieno titolo nel disegno complessivo del programma di governo finalizzato alla massima efficienza dell’apparato statale.
Un metodo di indagine che, in ogni caso, non ha potuto prescindere dalla consapevolezza che il fenomeno giuridico della tarda antichità non si esaurisce nella raccolta delle edictales generalesque constitutiones che il programma teodosiano mirava a realizzare, ma che deve essere ricercato in una serie di manifestazioni della volontà imperiale estranee alle raccolte giuridiche ufficiali, grazie agli ulteriori, possibili apporti ricavabili dallo spoglio delle fonti letterarie, papirologiche, epigrafiche, nonché dallo studio di tutta una serie di fonti, quali gli atti conciliari, le storie ecclesiastiche e gli epistolari dei padri della Chiesa e quel materiale storiografico e documentario, non ancora sistematicamente sfruttato, perché estraneo alle fonti tradizionalmente utilizzate dallo storico del diritto nella ricostruzione dell’attività normativa imperiale[97].
È noto, del resto, come sia stato autorevolmente sostenuto che sebbene il sistema normativo imperiale poggi certamente sulla volontà imperiale, esso, però, si completi in virtù di una serie di manifestazioni “diffuse”, espresse in ogni momento della vita del complesso organismo amministrativo, che la letteratura non giuridica può contribuire a fare meglio conoscere allo studioso della realtà giuridica della tarda antichità[98].
Resto convinto che solo seguendo tale metodo, per il molto che ancora resta da fare, sarà possibile conseguire una migliore e più approfondita conoscenza dell’attività normativa della tarda antichità.
Parole chiave
Normativa imperiale – esercito – vettovagliamento soldati – difesa
confini.
ABSTRACT
Il contributo esamina la legislazione imperiale del IV secolo con particolare riferimento alla normativa relativa al vettovagliamento dei militari ai confini dell’Impero.
Keywords
Imperial legislation – army – bordes of the Empire.
ABSTRACT
The contribution examines the imperial legislation of the 4th century, with particular reference to the regulations concerning the carriage of soldiers at the borders of the Empire
Fonti principali
CTh. 7.4 (titolo)
CTh. 1.29.1 e 2
CTh. 8.4.22 e 23.
[1] Amm. Marc., Rer. Gest. 26.5.1.
[2] Amm. Marc., Rer. Gest. 26.2.3:
Eoque, ut expeditius loqueretur, brachium exertante, ob murmuratio gravis exoritur concrepantibus centuriis et manipulis cohortiumque omnium plebe urgentium destinate, confestim imperatorem alterum declarari.
[3] Amm. Marc., Rer. Gest. 27.4.1.
[4] Amm. Marc., Rer. Gest. 26.5.2.
[5] Th. Mommsen, Theodosiani Libri XVI cum constitutionibus Sirmondianis. Prolegomena, Berolini 1905 [rist. 1970], ad h.l.
[6] O. Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Chr., Stuttgart 1919 (rist. 1984), 84.
[7] Per una ricostruzione delle subscriptiones delle costituzioni imperiali dell’anno 364, rinvio alle riflessioni contenute nel quarto Quaderno della seconda serie dei Quaderni dell’Accademia Romanistica Costantiniana, La legislazione di Valentiniano e Valente (364-375), Milano 1993, XV ss.
[8] P. Krüger, Codex Theodosianus, Berolini 1923, ad h.l.
[9] CTh. 7.4.7: Imp. Iulianus A. Sallustio p(raefect)o p(raetori)o. Milites ad vicensimum lapidem capitum petere iussimus. Dat. vii id. Mamertino et Nevitta conss.
[10] L. De Giovanni, Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo tardoantico. Alle radici di una nuova storia, Roma 2007, 341 ss.
[11] J. Gotofredo, Codex Theodosianus, ad h.l.
[12] O. Seeck, Regesten cit., 109.
[13] Amm. Marc., Rer. Gest. 26.4.4.
[14] Mette conto di rilevare come il Mommsen (Codex Theodosianus, ad h.l.), pur annotando nell’apparato critico: «scr. vi kal. Iun. similiterve secundum alteram ibidem datam», mantiene la data del 26 novembre 364, mentre, stando alla lettera della subscriptio, la costituzione dovrebbe essere stata emanata il 27 dicembre (vi kal. Ian.).
[15] Il testo giustinianeo corrisponde nella sostanza, ma differisce notevolmente nella formulazione:
Cenaticorum nomine milites et eorum superstantes nihil penitus a provincialibus accipere audeant. Sciant enim milites, quod oportet eos commoda sua, quae in annonarum perceptione adispicuntur, accipientes extrinsecus detrimentis provinciales non adficere.
L’“eorum superstantes” potrebbe derivare, secondo il Mommsen (ad h.l.), da una lettura genuina del testo originario “a quorum superstantibus”, corrotta in “a quibus superstatutorum” della tradizione manoscritta.
[16] Sul contenuto delle tre costituzioni, dedicate alla regolamentazione del cursus publicus e alla gestione delle opere pubbliche a Roma, e sul loro legame, indipendentemente da lievi differenze nelle subscriptiones, qualche rilievo in Federico Pergami, La legislazione cit., 38 s.
[17] Sono noti i gravi e complessi problemi che si pongono all’interprete nella individuazione della data delle costituzioni imperiali emanate durante i consolati imperiali, tanto da indurre il Mommsen a parlare di «difficultates insolitae…et insuperabilies» (Th. Mommsen, Prolegomena, Berlino 1905, rist. 1970, CCXLI). Gli imperatori Valentiniano e Valente ricoprirono insieme il consolato quattro volte: nel 365, nel 368, nel 370 e nel 373: in molti casi, la mancanza della cifra di iterazione potrebbe indurre ad attribuirle tutte al primo, cioè al 365. Ma tale attribuzione, a tacere della sua intrinseca inverosimiglianza, incontra spesso l’ostacolo di altri dati contrastanti che emergono dal tenore delle inscriptiones e delle subscriptiones delle stesse costituzioni: infatti, a volte, il luogo in cui queste risultano emanate non si concilia con quanto sappiamo, da altre costituzioni o da fonti diverse, specialmente extragiuridiche, oppure è la persona del destinatario o la sua qualifica, come ampiamente vedremo, che risultano incompatibili con quella datazione. A volte, addirittura, i due elementi si combinano tra loro e si intersecano con i profili di carattere sostanziale del testo, rendendo ancora più ardua la soluzione del problema.
[18] Grazie alle notizie fornite dal racconto di Ammiano Marcellino, siamo in grado di ricostruire gli spostamenti degli imperatori subito dopo l’assunzione del potere: al momento della sua elezione, Valentiniano era ad Ancyra (Amm. Marc., Rer. Gest. 26.1.5), per poi raggiungere Nicea, dove fu proclamato imperatore (Amm. Marc., Rer. Gest. 26.1.7). Il 1 marzo era a Nicomedia (Amm. Marc., 26.4.2), dove nominò tribunus il fratello Valente e il successivo giorno 28 dello stesso mese fu a Costantinopoli, dove lo proclamò Augusto (Amm. Marc., Rer. Gest. 26.4.3). Dopo avere trascorso l’inverno in quella città, i due imperatori si diressero in Occidente, raggiungendo Naisso attraverso la Tracia, dove separarono i comites, per giungere a Sirmio, dove – divisio palatio (Amm. Marc., Rer. Gest. 26.5.4) – Valentiniano partì verso Milano, mentre Valente alla volta di Costantinopoli.
[19] La data di pubblicazione all’aprile del 365 rende verosimile, in considerazione dell’usuale tempo necessario per l’esecuzione di tale incombente, la emanazione del provvedimento alla fine del 364.
[20] O. Seeck, Regesten cit., 216.
[21] J. Gotofredo, Codex Theodosianus cit., ad h.l.
[22] O. Seeck, Regesten cit., 09.
[23] O. Cuntz, Itineraria Romana, Lipsiae 1929, 102, ma anche CCL 75 Turnholti 1965, 25.
[24] P. Fraccaro, La via romana da Milano a Piacenza in Miscellanea Galbiati, Milano 1951 (=Opuscola 3, Pavia 1957), 232 ss.
[25] G. Corradi, Le strade romane dell’Italia occidentale, Torino 1968.
[26] L. Guaragni, Contributi topografici per una carta archeologica del Basso Lodigiano, Milano 1988 (tesi di laurea).
[27] R. Andreotti, Incoerenza della legislazione di Valentiniano I in NRS 15 (1931), 468.
[28] Amm. Marc., Rer. Gest. 26.5.1.
[29] Amm. Marc., Rer. Gest. 27.11.1 e 30.5.4.
[30] S. Mazzarino, Sulla carriera prefettizia di Sex. Petronius Probus in Antico, tardoantico ed èra costantiniana, Bari 1974, 334 ss.; A. Chastagnol, L’inscription de Petronius Probus à Capoue in Tituli 4 (1982), 547 ss. [= Scripta Varia, Lille 1987, 339 ss.]; A. Cameron, Polionomy in the late roman aristocracy: the case of Petronius Probus in JRS 75 (1985), 164 ss.
[31] A. Giardina, Lettura epigrafica e carriere aristocratiche: il caso di Petronio Probo in RFC 111 (1983), 171.
[32] CIL. VI.1752 e 1753.
[33] AE. 1934, 160.
[34] CIL. VI.1756a.
[35] CIL. VI.1756b.
[36] CIL. VI.1751.
[37] Amm. Marc., Rer. Gest. 27.11.1: ad regendam praefecturam praetorianam.
[38] A.H.M. Jones in A.H.M. Jones-J.R. Martindale-J. Morris, The Prosopography of the later roman Empire, Cambridge 1971, 783, Rufinus 25.
[39] Amm. Marc., Rer. Gest. 27.11.1.
[40] CTh. 10.15.4:
Impp. Val(entini)anus et Valens AA. ad Rufinum p(raefectum) p(raetori)o. Vicarios praefecturae ordinariosque rectores praecelsa sinceritas tua istius sanctionis auctoritate commoneat, ut privatae rei nostrae, quotienscumque aliquas vel denuntiaverit vel exceperit actiones, idoneos tribuant advocatos. Dat. xiiii kal. Iun. Remis Lupicino et Iovino conss.
[41] Amm. Marc., Rer. Gest. 30.5.4.
[42] Così, dapprima J.R. Palanque, Essai sur la préfecture du prétoire du Bas-Empire. Les préfectures de Probus, Paris 1933, 109 ss. e, in seguito, S. Mazzarino, che già si era occupato del problema nel classico volume dal titolo Stilicone. La crisi imperiale dopo Teodosio, Milano 1942, 14 ss. (rist. Milano 1990); Id., Sulla carriera prefettizia di Sex. Petronius Probus, riprodotto in Antico, tardoantico ed èra costantiniana, 1 (1974), 328 ss., con un’aggiunta del 1973, relativa all’allora recente rinvenimento dell’iscrizione di Capua, di cui s’è detto nel testo; A. Giardina, Lettura epigrafica e carriere aristocratiche cit., 171 ss.; A. Cameron, Polionomy in the late roman aristocracy cit., 178 ss.
[43] Ruf., Hist. Eccl. 11.12.
[44] CIL. V.3344.
[45] Th. Mommsen, Prolegomena, CLXVIII (ma v. la nota alla costituzione).
[46] A.H.M. Jones, Collegiate Prefectures in JRS 54 (1967), 85 ss.; Id., Prosopography cit., 736 ss., Sex. Claudius Petronius Probus 5.
[47] Amm. Marc., Rer. Gest. 26.5.5:
Et Orientem quidem regebat potestate praefecti Sallustius, Italiam vero cum Africa et Illyrico Mamertinus et Gallicas provincias Germanianus.
[48] Amm. Marc., Rer. Gest. 21.12.25:
Tunc ut securitatem trepidis rebus adferret et obedientium nutriret fiduciam, Mamertinum praefectum praetorio per Illyricum designavit consulem, et Nevittam, qui nuper ut primum augendae barbaricae vilitatis auctorem inmoderate notaver Constantium.
[49] CIL. V.8978.
[50] Amm. Marc., Rer. Gest. 26.5.14.
[51] Specialmente critico, al riguardo: J.R. Palanque, Essai sur la préfecture du prétoire cit., 114 nt. 27.
[52] Th. Mommsen, Codex Theodosianus, ad C.Th. 1.29.1.
[53] Th. Mommsen, Codex Theodosianus, ad C.Th. 11.1.15.
[54] A.H.M. Jones, Collegiate Prefectures cit., 87; Id., Prosopography cit., 737, Probus 5.
[55] A. Cameron, Polionomy in the late roman aristocracy cit., 180.
[56] Alla luce delle testimonianze a nostra disposizione, esiste una notevole incertezza sulla successione dei comites sacrarum largitionum fra il 365 e il 366 e sulla correlativa datazione delle costituzioni dirette a tali funzionari imperiali. Per il nostro caso, va detto che nel febbraio 365, la carica era sicuramente ricoperta da Fiorenzo, il quale è ancora destinatario della costituzione 11 CTh. 12.6, datata 17 settembre 366, mentre, contemporaneamente e subito dopo, altre costituzioni risultano indirizzate a Germaniano (nel 365, quella in esame, del 28 luglio; C. 11.62.3 del 24 settembre; nel 366, la c. 20 CTh. 5.15 e la c. 2 C. 1.56 e nel 367 CTh. 10.19.4 e 12.6.13, nonché C. 11.63.2). Il problema, che non può essere risolto in questa sede, è affrontato ex professo dal Jones (The Later Roman Empire [284-602] Oxford 1964, 3, App. 1, 345 ss., nonché in Prosopography cit., 391, Germanianus 1), dal Seeck (Regesten cit., 31 ss.), dal Voci (Nuovi studi sulla legislazione romana del tardo Impero, Padova 1989, 73 ss.). Ampia discussione nel merito in R. Delmaire, Largesses sacrées et res privata. L’aerarium impérial et son administration du IV au VI siècle, Paris 1989, 70 ss.
[57] Le costituzioni in esame e, più generale, le riforme fiscali attuate da Valentiniano sono state oggetto di speciale attenzione da parte degli studiosi non soltanto della storia giuridica della seconda metà del IV secolo (R. Andreotti, Legislazione cit., 468 s.; R. Soraci, L’imperatore Valentiniano I, Catania 1971, 155), ma anche di storia economica (L. Cracco Ruggini, Economia e società nell’Italia annonaria, Milano 1961, 235 nt. 85; C. Alzon, Problèmes relatifs à la location des entrepôts en droit romain, Paris 1965, 353 nt. 1765).
[58] A corroborare tale conclusione contribuisce il rilievo del Seeck, il quale ritiene addirittura che tale provvedimento sia «eine andere Ausfertigung» della precedente costituzione in esame (CTh. 11.1.15), di cui considera esatta la datazione al 25 ottobre 367. Ma si tratta, a ben vedere, di una soluzione che solleva anch’essa forti dubbi, per una serie di ragioni fra loro reciprocamente interdipendenti, fra cui spicca, in generale, la scarsa probabilità dell’indicazione del postconsolato in un periodo così avanzato dell’anno.
È utile riprodurre il testo della costituzione: CTh. 11.1.16:
Impp. Valentinianus et Valens AA.ad Dracontium. Provinciales nostri tributa fiscalia per anni curriculum tripertita satisfactione restituant. Dat. viii kal. Nov. Nicomediae post cons. Gr(ati)ani A. et Dagalaifi.
L’indicazione della località di emanazione nella subscriptio è sicuramente errata, non potendo il provvedimento provenire da Nicomedia, sia perché Valente non si trovava in quella località nell’ottobre 367, sia – soprattutto – perché il destinatario Draconzio, qui non qualificato, rivestiva all’epoca la carica vicarius Africae (A.H.M. Jones, Prosopography cit., 271). Quanto al luogo di emanazione, per superare tali gravi problemi, dapprima il Gotofredo aveva proposto di sostituire a Nicomedia la località di Nicromedium, prendendo spunto dalle notizie di Ammiano Marcellino (Rer. Gest. 28.2.2), che narra di un’attività dell’imperatore Valentiniano per deviare il corso del fiume Neckar, con lo scopo di rendere più sicura la residenza fortificata che egli aveva fatto costruire qualche anno prima. Al contrario, più recentemente, il Seeck (Regesten cit., 107), sul rilievo che la presenza dell’imperatore fosse attestata a Treviri il 13 ottobre 366 (cfr. C. 6.4.2) e ancora il successivo 18 novembre (cfr. CTh. 6.35.7), ha ipotizzato che Valentiniano avesse visitato medio tempore una città della Gallia, Novesia, il cui nome non differisce né graficamente, né foneticamente, da Nicomedia.
Quanto, invece, alla datazione, oltre ai problemi relativi all’indicazione del postconsolato ancora alla fine di ottobre, va rilevata l’errata indicazione della titolatura di Graziano, che nel 366 non era ancora stato associato dal padre alla porpora imperiale e aveva rivestito, in quell’anno, il consolato in qualità di nobilissimus puer. L’ipotesi più probabile, dunque, pare quella di considerare la costituzione emessa effettivamente nell’ottobre 366 in località non conosciuta e a Nicomedia pubblicata nei primi mesi dell’anno successivo: il che renderebbe, tra l’altro, plausibile l’indicazione della data del propositum al 367 con il postconsolato dell’anno precedente (PP. Nicomediae post cons. Gratiani e Dagalaifi). Su tale soluzione, Federico Pergami, La legislazione cit., 338.
[59] Un provvedimento analogo, che autorizzava il pagamento rateale dei canoni enfiteutici, era stato emanato da Valentiniano nei primi mesi di governo, forse limitatamente ai fondi africani: v. al riguardo, CTh. 11.19.3. Sui problemi di datazione e di coordinamento con altre costituzioni, tutte emanate da Aquileia e indirizzate ad provinciales Byzacenos (CTh. 5.15.16, 8.5.20, 10.10.9, 11.30.33, 12.1.59-60, 16.2.17), cfr. Federico Pergami, La legislazione cit., 78 ss.
[60] Sul tema, in generale, Federico Pergami, Studi di diritto romano tardoantico, Torino 2012, 212 ss.
[61] CTh. 1.29.3:
Impp. Valentinianus et Valens AA. Probo p(raefecto) p(raetori)o. Cum multa pro plebe a nobis studiose sta[tu]ta sint, nihil providisse nos credidimus, nisi defensor[es] idoneos dederimus. Igitur non ex decurionum corpore, [sed] ex alio videlicet ex administratoribus, qui vel consulares f[ue]rint administratione vel praesides, aut ex palatinis vel ag[en]tibus in rebus vel his, qui principatus culminis vestri vicarior[um]que gesserunt, vel ex scholasticis huic officio deputantur. Dat. (iii) non. nov. Val(entini)ano et Valente aa. conss.
[62] CTh. 1.29.4:
Impp. Valentinianus, Valens et Gratianus AA. ad Probum p(raefectum) p(raetori)o. Qui ex schola a[gen]tum in rebus sedi culminis vestri munere principatus no[s]tro quodammodo nomine paruerint, inter ceteros hono[ra]tos iussione nostra diversarum urbium plebibus constit[uan]tur patroni, ita ut, si quos ex his auctoritas tua putaverit el[igen]dos, eadem his tutela mandetur, ab his aut[e]m eos repraese[ntet] inmunes. Dat. viii id. nov. Trev(iris) Val(entini)ano et Valente ii aa. conss.
[63] Federico Pergami, Legislazione cit., 27: «è difficile conservare alla costituzione in esame la data del 27 settembre 364».
[64] In verità, lo stesso Jones (Collegiate Prefectures cit., 85 ss.) ipotizza una grave alterazione della subscriptio di due costituzioni dell’anno 380, CTh. 6.28.2 e 6.35.10, per negare l’attendibilità di una prefettura di Probo in quell’anno.
[65] A. Höpffner, Un aspect de la lutte de Valentinien I contre le Senat. La creation du defensor plebis in RH 182 [1938], 229.
[66] Seguono l’impostazione di Höppfner, R. Soraci, L’imperatore Valentiniano cit., 95 e V. Mannino, Ricerche sul defensor civitatis, Milano 1984, 13 nt. 2, sulla scia del Mommsen (Codex Theodosianus, ad h.l.) e del Seeck (Regesten cit., 92).
[67] Questo titolo era conservato esclusivamente nel Codice Torinese senza numero e la rubrica è incerta: nell’Indice Parisino era indicata nel seguente modo: De officio defensoris senatorum.
[68] Amm. Marc., Rer. Gest. 26.5.1.
[69] Il dato si ricava dalle subscriptiones di CTh. 13.5.10 dell’8 maggio; di CTh. 8.4.8, 8.5.18, 11.7.9 e di CTh.12.1.58 del 13 maggio.
[70] Th. Mommsen, Prolegomena cit., CCXXXIX.
[71] O. Seeck, Regesten cit., 215.
[72] Amm. Marc., Rer. Gest. 26.2.3.
[73] Così, seppure dubitativamente, già P. Krüger, Codex Theodosianus, ad h.l.
[74] Per tutti, A. Höpffner, Un aspect de la lutte de Valentinien I contre le Senat cit., 229.
[75] In argomento, P.O. Cuneo, La legislazione di Costantino II, Costanzo II e Costante (337-361), Milano 1997, ad h.l.
[76] Sull’identificazione del precedente provvedimento di Giuliano, v. C. Pharr, The Theodosian Code and Novels and the Sirmondian constitutions Princeton 1952, ad h.l.; E. Pack, Städte und Steuern in der Politik Julianus. Untersuchungen zu den Quellen eines Kaiserbildes, Bruxelles 1985, 129 nt. 245.
[77] Sul punto, v. Federico Pergami, La legislazione cit., 230 ss.
[78] S’è detto dell’originaria inclinazione dello studioso a favore di una prima prefettura di Probo all’anno 364, quantomeno per l’Illirico (O. Seeck, Defensor civitatis in PWRE, IV.2 [1901], coll. 2366), poi superata a favore di una datazione più tarda (O. Seeck, Regesten cit. 92).
[79] In coerenza con quanto sostenuto a proposito dell’introduzione, nella legislazione tardoantica, della figura del defensor civitatis a partire dall’anno 368, come per la prefettura di Probo, l’Höppfner (La création du defensor plebis cit., 230 ss.) ha ipotizzato che il precedente normativo, richiamato dalla costituzione 8.15.4, vada individuato nella c. 5 h.t., che risulta emanata il 3 agosto 368 (sui gravi e complessi problemi di datazione, v. Federico Pergami, La legislazione cit., 253 ss.).
[80] In proposito, V. Mannino, Ricerche sul defensor civitatis cit., 35, opta per la provenienza orientale del provvedimento e ipotizza che in quella pars Imperii debba trovarsi la sconosciuta località, peraltro non identificata.
[81]CTh. 8.15.3:
Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Iovinum p(raefectum) u(rbi): Princeps cornicularius commentariensis numerarius et ordinarii per singula officia possessionum adque aedium nec non etiam mancipiorum comparationem sciant sibi esse praeclusam. Sive igitur in ipsis provinciis, in quibus memorata officia sustinere noscuntur, constiterit eos esse progenitos seu in aliis, omni modo a praedictis conparationibus per provincias, in quibus militant, temperare debebunt. Solas tamen res paternas memoratos mercari posse praecepimus, ita ut apud rectorem provinciae non minoribis pretiis, quam ratio aequitatis exposcit, venditio celebretur. Dat. iii id. April. Const(antino)p(oli) divo Ioviano e Varroniano conss.
[82] Il destinatario è erroneamente indicato in Iovinum anziché Iovium, sulla cui carriera, G. Dagron, Naissance d’une capitale. Constantinople et ses institutions de 330 à 451, Paris 1971, 244; G. De Bonfils, Il comes et quaestor nell’età della dinastia costantiniana, Napoli 1981, 203 s.
[83] CTh. 8.15.5:
Omnis se turpibus nundinis administrator abstineat: idem sibi altior iudex, idem mediae dignitatis, idem quicumque vel minimus putet esse praescribtum. Nemo in provincia quam tuetur, donec in eadem commorabitur, aliquid conparandi sumat adfectum: similiter administrantium socii adque participes, quaedam enim uniuscuiusque portio videtur adsessor. Patronos etiam fisci ab his contractibus iubemus inhiberi et qui principatum officiorum gerunt seu corniculum quique commentariensium nomine exosa miseris claustra custodiunt; tabularios quoque provinciarum et urbium singularum pari condicione constringimus; identitem numerarii praefecturae vel vicariae potestatis observent. Praeterea officiales adque municipes, qui exactiones quascumque susceperint, eos etiam, quibus vel discussionis indago vel negotium censuale mandatur, insuper principales, a quibus distributionum omnium forma procedit, curatores etiam lex ista contineat. Verum si qui ex his medio muneris sui tempore vel privatim aliquid e[miss]e vel publice detegetur, in inritum gesta revocentur, comparatores autem contra in[terdic]ta…mati non modo his, quae per semet [ipsos vel per aliam fue]rint empta personam, sive ag[ri sint sive domus sive] mancipia seu quaecumque mobilia, sed etia[m ea pecu] niae taxatione, quam dederint, exuantur. Nec [ullus] inquirat, ultrum civiliter rem actam constet an [tur]bide. Nec obsit propria reposcenti vel venditio interiecta vel largitas vel mentio ulla legati, nam utcumque in alterum res fuerit a conparatore translate, quam emi in officio non oportuit, liberum corporis persequendi praestamus arbitrium. Adiungimus autem, ut, si domini corporum venditorum, postquam emptores coeperint esse privati, quinquiennio integro in repetitione cessaverint, continuo sibi fiscus usurpet, quae contra hoc vetitum vendita docebuntur. Dat. iii non. Aug. Sirmio Valentiniano et Valente AA. conss.
[84] Sui dubbi relativi alla data di emissione e alla località di emanazione, che non può essere Sirmio (più verosimilmente si tratta del luogo di pubblicazione del provvedimento, emanato qualche mese prima: cfr. Federico Pergami, Legislazione cit. 254), v. Th. Mommsen, ad h.l.; O. Seeck, Regesten cit. 234; A.H.M. Jones, Prosopography cit., 738, Probus 5.
[85] P. Krüger, Codex Theodosianus, ad h.l. Il titolo di defensor non compare nella Summa Perusina, che reca, come nel Teodosiano, la sola indicazione del nome del destinatario, corrotto in Senice.
[86] Non posso nascondere che esistono elementi contenutistici anche a favore dell’identificazione con la c. 5 CTh. 8.15: la c. 3 h.t., come s’è detto, è una disposizione limitata a determinati funzionari e alla disciplina di determinati atti (in particolare l’acquisto di immobili e di schiavi), mentre la c. 5 h.t. detta una disciplina più generale, con la conseguenza che la frase “nihil in suscepto officio mercari”, riferito nella c. 4 a tutti i titolari di publica munera, potrebbe far propendere per una soluzione opposta a quella individuata nel testo.
[87] A tale soluzione avevo aderito nella precedente fase di studio: cfr. Federico Pergami, La legislazione cit., 254.
[88] Th. Mommsen, Codex Theodosianus, ad h.l.
[89] Th. Mommsen, Prolegomena cit., CLXVIII.
[90] O. Seeck, Regesten cit., 92.
[91] O. Seeck, Defensor civitatis cit., col. 2366.
[92] Amm. Marc., Rer. Gest. 26.8.2.
[93] Amm. Marc., Rer. Gest. 26.8.3.
[94] O. Seeck, Regesten cit., 33 ipotizza che la costituzione sarebbe stata emessa il 1 dicembre, durante l’assedio della città, per essere ricevuta lo stesso giorno dal prefetto del pretorio, che doveva trovarsi nelle vicinanze.
[95] Sulle tracce del Gotofredo (Codex Theodosianus cit., ad h.l.), il Pharr (The Theodosian Code cit., ad h.l.) ipotizza che la costituzione richiamata nel testo in esame vada identificata nella precedente c. 10 h.t.: in realtà, la difformità di contenuto e la mancanza di precisi riferimenti testuali rende l’ipotesi meramente congetturale.
[96] Sul contenuto della costituzione, S. Mazzarino, Aspetti sociali del IV secolo cit., 193; Id., Sulla politica tributaria di Valentiniano I. A proposito di un’epigrafe di Casamari in Antico, tardoantico ed èra costantiniana, 1 (1974), 316 ss.; Id., Stilicone cit., 360 nt. 17; A. Giardina in A. Giardina-F. Grelle, La tavola di Trinitapoli: una nuova costituzione di Valentiniano I in MEFR (1983), 276.
[97] F. Amarelli, Cristianesimo e istituzioni giuridiche romane: contaminazioni, influenze, recuperi in BIDR 100 (1997), 453 ss.
[98] M. Sargenti, Studi sul diritto romano del Tardo Impero, Padova 1986, 407 ss.
Patrocinante avanti alle Magistrature Superiori
Professore presso il Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università Bocconi