Le origini storiche del ricorso per Cassazione di Federico Pergami.
- Il problema della tutela dei diritti rappresenta un tema centrale in ogni organizzazione sociale, in quanto è legato alla forza coattiva delle norme giuridiche e alla loro applicazione anche nei confronti dei recalcitranti.
Infatti, nell’ambito dei rapporti di diritto privato, siccome la norma attribuisce ai singoli consociati diritti soggettivi e obblighi corrispondenti, vi è da sempre l’esigenza di superare la resistenza del soggetto passivo, quando questi non assolva volontariamente al suo obbligo, così non consentendo la soddisfazione dell’interesse che è a fondamento del diritto soggettivo.
L’esperienza processuale romana dimostra che, attraverso una graduale legalizzazione dell’autodifesa, la funzione sanzionatoria sia stata assunta dall’ordinamento mediante la predisposizione di organi a ciò espressamente delegati.
La strumento utilizzato dai Romani per il raggiungimento di tale obiettivo, ed utilizzato anche negli ordinamenti moderni, è rappresentato dal processo, espressione che sotto il profilo terminologico riecheggia l’idea del procedere, dell’avanzare ed è tecnicamente inteso proprio come una serie continuativa di atti finalizzati alla soluzione del conflitto di interessi fra i consociati tramite l’emanazione della sentenza.
- Nell’esperienza giuridica romana, il processo, come gli altri istituti di maggiore rilevanza, segna una graduale evoluzione caratterizzata, dapprima, da una prevalenza di elementi di natura privatistica (oggi, diremmo, di natura arbitrale); successivamente da elementi di natura pubblicistica, che si concretizzano in un più incisivo e penetrante intervento statale.
Caratteristica della prima forma di processo, che nell’esperienza romana si attua e si realizza per il tramite dell’antico sistema delle legis actiones e, successivamente, del più moderno sistema formulare, era l’attribuzione della potestas decidendi ad un cittadino privato a cui le parti rimettevano la soluzione del conflitto.
Quello che qui preme sottolineare e mettere in luce è la caratterista dell’immutabilità della pronuncia del giudice: infatti, in entrambi i processi, l’avere affidato in via volontaria ad un privato cittadino scelto dalle parti, la decisione della lite in corso, comportava automaticamente la accettazione della decisione, qualunque ne fosse il contenuto, nonché la preventiva rinuncia ad ogni forma di impugnazione.
In questa fase, cioè, la sentenza era resa in unico grado, propri per rispondere ai requisiti prevalentemente privatistici che caratterizzavano tanto il processo per legis actiones quanto il processo per formulas.
- Una modifica radicale nel sistema giurisdizionale romano conseguirà alla graduale scomparsa del processo formulare a favore dell’introduzione di una più recente forma di tutela processuale, rappresentata dalla cognitio extra ordinem, cioè una cognizione estranea al sistema privatistico.
La trasformazione è intimamente connessa al passaggio ad una fase storica caratterizzata da una concentrazione di poteri nelle mani di una sola persona, cioè l’imperatore.
Fra questi poteri non poteva sfuggire l’esercizio dell’attività giurisdizionale, che l’imperatore svolgeva trasformando il processo in un sistema in unica fase, che il principe coordinava sia nella fase istruttoria, che quella decisoria.
Emerge qui la natura pubblica della più recente forma di processo, coerente anche con lo sviluppo dei moderni ordinamenti, in cui lo Stato assume su di sé la funzione giurisdizionale.
Una simile disciplina del ricorso al tribunale imperiale, del resto, appare perfettamente coerente con le funzioni legislative attribuite all’imperatore, che, a seguito della concentrazione dei poteri nelle sue mani, si è attribuito l’esclusiva competenza all’emanazione delle norme giuridiche: è così perfettamente logico immaginare che spettasse proprio e solo al princeps, espressione ed emanazione di ogni potere, il compito di verificare la corretta applicazione, nella soluzione della controversia da parte dei propri funzionari, di una norma di legge.
Peraltro, è certo che la grande espansione territoriale di Roma, che da piccola comunità formata da poche persone legate da vincoli di parentela e di amicizia si era gradualmente trasformata in grande potenza mondiale, esclude che l’imperatore, impegnato negli urgenti affari di governo, potesse occuparsi di tutte le controversie, anche quelle più distanti dalla capitale e di minore rilevanza economica.
Nasce così l’istituto della delega di potestas decidendi, un’attribuzione che l’imperatore attribuisce dapprima episodicamente caso per caso e poi stabilmente a funzionari imperiali, che proprio in virtù di tale delega imperiale, sono significativamente definiti come iudices vice sacra.
Si forma, così, gradualmente, una complessa gerarchia burocratica di funzionari imperiali, la cui complessità costituisce uno dei problemi più dibattuti nello studio della realtà processuale della tarda antichità, anche perché essa coincide con l’introduzione, nel sistema giurisdizionale tardo antico dello strumento dell’impugnazione, come richiesta di riesame di una sentenza risultata sfavorevole per il cittadino.
Infatti è proprio la caratteristica del processo della cognitio extra ordinem, che attribuiva al funzionario delegato dall’imperatore e non più al cittadino privato scelto dalle parti, il potere di emanare la sentenza, consentendo un riesame della controversia da parte del giudice superiore e apre l’adìto all’introduzione, nel nuovo sistema processuale, della possibilità di impugnare la sentenza e, quindi, dell’appello (i testi parlano di appellatio).
Le fonti, al riguardo, ammettono anche un terzo grado di giudizio: sebbene le fonti siano tutt’altro che perspicue, lasciano intravedere, con una certa sicurezza, che il riesame da parte dell’imperatore della controversia in terzo grado fosse possibile non in ogni caso, ma fosse previsto esclusivamente nel caso di violazione di norme di legge nell’emanazione della sentenza, tanto di primo, quanto di secondo grado: l’impugnazione al principe era ammessa per il caso di pronunce rese in detrimentum legum.
Si trattava, in sostanza, di una forma di impugnazione che riecheggia le ipotesi del moderno ricorso avanti la Suprema Corte di Cassazione, ove pure, all’art. 360 comma 1 n. 3, è ammessa l’impugnazione delle sentenze rese in grado d’appello o in unico grado proprio per il caso “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”.
Patrocinante avanti alle Magistrature Superiori
Professore presso il Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università Bocconi