Il regime del patrimonio immobiliare imperiale nella legislazione del tardo diritto romano di Federico Pergami
Nel panorama normativo tardoimperiale, un posto centrale occupa il tema della gestione del patrimonio immobiliare imperiale, fundi rei privatae, fundi patrimoniales e fundi rei publicae[1], ricompreso nella res privata principis[2], settore strategico dell’amministrazione centrale, la cui funzione, come è noto, consisteva nella gestione dei beni appartenenti allo Stato e nella riscossione e nell’impiego delle relative rendite[3], in un momento storico nel quale il problema finanziario della esazione dei tributi rivestiva una delle maggiori preoccupazione degli imperatori.
- Particolarmente articolate e complesse sono le vicende relative alla disciplina dei fundi rei publicae[4], la ricostruzione del cui regime incontra numerosi ostacoli a causa della scarsità e della frammentarietà delle fonti a nostra disposizione, che mostrano un differente trattamento del bene immobile da parte dei sovrani succedutisi alla porpora imperiale.
In coerenza con le fonti letterarie coeve, segnatamente Ammiano Marcellino [5] e Libanio [6], vi è traccia di un’originaria confisca dei fundi rei publicae da parte della cancelleria di Costantino[7], che avrebbe incorporato nella res privata le terre cittadine appartenenti ai santuari degli Dei pagani[8], i fundi templorum, le cui rendite erano destinate a sostenere le spese di culto in onore di quelle divinità[9].
Di ciò, sotto il profilo normativo, si ha un’indiretta conferma dalla costituzione di Costanzo II, che, dando conto, nell’anno 358, di precedenti disposizioni del predecessore, ne avrebbe ampliato la portata, confiscando tutti i possedimenti delle città:
CTh. 4,13,5: Imp. Constantius A. ad Martinianum vic(arium) Afric(ae). Divalibus iussis addimus f[irmi]tatem et vectigalium quartam provincialibus et urbibus Af[rica]nis hac ratione concedimus, ut ex his moenia publica res[tau]rentur vel sarcientibus tecta substantia ministretur. […] Epistula ad v(irum) c(larissimum) vic(arium) prid. id. Iul. Cilio Datiano et Cere[ale conss.].
Con tale provvedimento, che sembra presupporre l’appartenenza dei fondi cittadini al patrimonio imperiale, l’imperatore concedeva ai provinciali e alle città d’Africa un quarto dei vectigalia, cioè degli introiti derivanti dai dazi e dalle imposte indirette, per il restauro degli edifici pubblici[10].
Ve detto subito che il testo che leggiamo nel Teodosiano , di difficile interpretazione[11] e piuttosto tormentato sotto il profilo palingenetico[12], non è quello della costituzione imperiale originaria, ma di una semplice epistula inviata al vicario d’Africa Martiniano con l’esplicita finalità di ordinare l’applicazione dei divalia iussa, che avevano impoverito le casse municipali.[13] .
- In ogni caso, si trattò di disposizioni di breve durata: infatti, l’imperatore Giuliano, nel quadro di un più generale piano di riforma economica e amministrativa[14], ne dispose la revoca già nel 362, con la costituzione del 13 marzo[15]:
CTh. 10,3,1: Imp. Iul(i)anus A. Secundo P(raefecto) P(raetori)o. Post alia: Possessiones publicas civitatibus iubemus restitui ita, ut iustis aestimationibus locentur, quo cunctarum possit civitatium reparatio procurari. P(ro)p(osita) id. Mart. Constantinop(oli) Mamertino et Nevitta conss.
La disposizione prevedeva che le terre confiscate fossero restituite alle città, «possessiones publicas civitatibus restitui», unitamente alle tasse civiche [16], perché si provvedesse alla reparatio delle stesse[17].
Si trattava, del resto, di un provvedimento non isolato, il cui contenuto, infatti, verrà ribadito, seppure in modo indiretto, nelle prime due costituzioni del titolo 11,70 del Codice Giustinianeo, De diversis praedis urbanis et rusticis templorum et civitatum et omni reditu civili[18]:
- 11,70,1: Imp. Iul(i)anus A. Atarbino. Pro aedibus, quas nonnulli in solo rei publicae extruxerunt, placitam praestare pensionem cogantur
in cui si prevede che i superficiari, che avessero costruito in solo rei publicae, dovessero continuare a versare il relativo canone (pensio) alla città (pro aedibus), nonché la c. 2 h.t.:
Imp. Iul(i)anus A. Secvndo PP. Pamphyliae etiam civitates et quaecumque aliae quidquid sibi adquirant, id firmiter habeant
con cui si garantiva, per il futuro, alle civitates la titolarità dei beni (quidquid) che avrebbero acquistato.
- Particolarmente significativa, sotto il profilo che qui interessa specialmente esaminare, è la legislazione dei Valentiniani in tema di appartenenza dei fundi rei publicae alla res privata, caratterizzata da due provvedimenti, la c. 8 C.Th. 10, 1 e la c. 3 C.Th. 5, 13, il cui coordinamento – ipotizzate le plausibili soluzioni ai problemi di datazione e di attribuzione – consente di valutarne appieno il reale valore normativo.
La prima costituzione è contenuta in CTh. 10, 1, 8:
Impp. Val(entini)anus et Valens AA. ad Caesarium com(item) rerum privatarum. Universa loca vel praedia, quae nunc in iure templorum sunt quaeque a diversis principibus vendita vel donata sunt retracta, ei patrimonio, quod privatum nostrum est, placuit adgregari. Dat. prid. non. Feb. Med(iolano) divo Ioviano et Varroniano conss.
La norma consente di delineare la disciplina dei fundi templorum che, dopo la confisca operata da Costantino e dai suoi figli, erano stati in parte venduti o donati (universa loca vel praedia…vendita vel donata) [19], per essere restituiti, con Giuliano, in favore dei templi (nunc in iure templorum), debbono rientrare a fare parte del patrimonium, quod privatum nostrum est, cioè della res privata [20].
Il provvedimento – di grande importanza, essendo plausibile che anche laconfiscadi tutti gli altri beni urbani «sia avvenuta contemporaneamente a quella dei patrimoni dei templi» [21] – ha posto all’interprete gravi e complessi problemi palingenetici.
Sebbene la inscriptio rechi, infatti, i nomi dei due imperatori (Impp. Valentinianvs et Valens), la subscriptio indica una data, il 4 febbraio 364 (Prid. Non. Feb.), che ricondurrebbe il provvedimento a Gioviano: ipotesi, quest’ultima, incompatibile con l’investitura dei due Augusti alla porpora imperiale, avvenuta solo successivamente, il 26 febbraio per Valentiniano [22] e il 28 marzo per Valente [23].
La dottrina, a cui non è sfuggita tale incongruenza, è sostanzialmente divisa[24] e solo alcuni rilievi, sia di natura sostanziale che di carattere palingenetico, contribuiscono ad orientare verso la soluzione, che ritengo più attendibile e che depone a favore di un’attribuzione della paternità del provvedimento all’imperatore Valentiniano.
In primo luogo, non appare verosimile che i compilatori del Teodosiano abbiano annoverato fra quelle di Valentiniano e Valente costituzioni di cui conoscevano la differente attribuzione e risulta eccessivamente drastica l’affermazione del Seeck[25] in base alla quale nessun valore dovrebbe attribuirsi alle inscriptiones del Codice Teodosiano, poiché l’indicazione dei nomi degli imperatori sarebbe stata completa solo quando essi apparivano per la prima volta, mentre sarebbero stati sostituiti da un idem nei frammenti successivi. Questo è vero per le raccolte di costituzioni, ma non vi è motivo di credere che gli esemplari d’archivio delle leges, utilizzati dai compilatori per la stesura del codice, non recassero le indicazioni degli autori e dei destinatari in forma anche più completa di quella conservata nelle raccolte ufficiali. Si aggiunga, tra l’altro, che, con riferimento al caso in esame, nel libro 10, la c. 8 De iure fisci è la prima attribuita a Valentiniano e Valente, i cui nomi sono, dunque, indicati per esteso e non con un idem[26]. Anche l’affermazione in base alla quale i compilatori avrebbero generalmente indicato i nomi degli imperatori tenendo conto del consolato dell’anno non risulta sempre fondata: se, infatti, è verosimile che il criterio possa valere – seppure entro certi limiti – per le costituzioni emanate dopo la morte di un imperatore[27], è assai meno probabile che esso operi a ritroso, facendo attribuire all’imperatore non ancora elevato alla porpora le costituzioni emesse al principio dell’anno.
A prescindere, poi, da questi rilievi di carattere generale, anche considerazioni di natura sostanziale fanno propendere per una attribuzione a Valentiniano, piuttosto che a Gioviano. Infatti, senza giungere a rappresentare quest’ultimo come una nullità [28] e senza ritenere che nessuna delle leggi a lui ascritte dai compilatori gli appartenga [29], deve nutrirsi qualche dubbio sulla circostanza che l’imperatore abbia voluto intervenire per abrogare i provvedimenti di Giuliano in tema di attribuzione delle terre ai templi, mediante la emanazione di norme, frutto di una matura e consapevole linea di politica legislativa, volte a correggere le tendenze anticristiane e filopagane del predecessore [30]. L’imperatore, infatti, eletto fortunosamente in un periodo caratterizzato da una difficile situazione internazionale, pur ricalcando la legislazione di Giuliano in tema di burocrazia statale, preferì – per una scelta consapevole, finalizzata al rafforzamento del proprio potere personale – non prendere posizione né sul fronte della riorganizzazione amministrativa e fiscale, né sul fronte religioso [31].
Sono, però, i profili di carattere palingenetico che rendono incompatibile un’attribuzione all’imperatore Giovano del testo in esame: escluse le, seppure autorevoli, difficili modifiche paleografiche proposte in dottrina (da Dat. Prid. Feb. a Dat. Prid. Novemb.[32]; Med. in Mnizus[33];da Dat. Prid. Non. Feb. a Dat. Prid. Non. Ivn.) [34], una simile soluzione contrasta pure con la indicazione del luogo di emanazione, Milano, che non accolse mai l’imperatore durante il suo breve governo, né ospitò altri imperatori nel febbraio 364. Inoltre, la stessa subscriptio indica il consolato unendo al nome dell’imperatore la qualifica divus (Divo Ioviano et Varroniano), circostanza da cui sembra doversi dedurre che la c. 8 C.Th. 10, 1 – come tutte le successive dello stesso anno – sia stata emanata quando Gioviano era già morto [35].
La conferma della validità di un simile ordine di idee emerge, poi, dall’esame di un altro provvedimento in tema di appartenenza alla res privata principis dei fundi rei publicae, la c. 3 C.Th. 5, 13:
Impp. Val(entini)anvs et Val(ens) AA. ad Mamertinvm p(raefectvm) p(raetori)o. Uni[versa, quae] ex patrimonio nostro per arbitrium divae me[moriae Iul] iani in possessionem sunt translata templorum, [sollicitudi]ne sinceritatis tuae cum omni iure ad rem privat[am nostram] redire mandamus. Dat. X Kal. Ian. Med(iolano) divo Iovian[o et Varr(oniano) Conss.].
La costituzione, emanata a Milano il 23 dicembre 364, prevede, analogamente alla precedente, ma con una formulazione più netta e categorica, che tutti i beni (universa) alienati a favore dei templi «per arbitrium memoriae Iuliani» [36] fossero fatti rientrare nella titolarità e disponibilità della res privata.
Ve detto subito che se una simile misura fosse stata adottata qualche mese prima, nel febbraio 364, da Gioviano, il suo successore in Occidente ne avrebbe, in qualche modo, dovuto fare menzione, mentre la C.Th. 5, 13, 3 appare, nella versione conservata nel Codice Teodosiano, come un’assoluta novità.
La dottrina [37] ha cercato di spiegare in vario modo l’esistenza di queste due costituzioni di identico contenuto, ma di datazione e destinatario diversi, prospettando soluzioni che, però, non paiono compatibili nè con rilievi di natura palingenetica, né, a più forte ragione, con considerazioni di portata più generale, relative al vigore normativo dei provvedimenti imperiali nelle due partes Imperii [38].
Sembra, pertanto, più corretto ipotizzare che la norma avente contenuto e portata generale fosse la c. 3 CTh. 5, 13, emanata a Milano e indirizzata, nell’esemplare conservato nel Teodosiano, al prefetto del pretorio Mamertino, senza che ciò dovesse implicare una sua validità territorialmente circoscritta alla sola pars Occidentis. Esistono, infatti, nel Codice, provvedimenti di indubbia portata generale, validi per entrambe le partes Imperii, che risultano, però, destinati – nell’esemplare raccolto dai compilatori – ad un singolo prefetto del pretorio, quando non a funzionari di grado inferiore o addirittura locali: eventualità, quest’ultima, legata all’uso che i compilatori hanno fatto degli esemplari d’archivio, pur non potendosi escludere che il provvedimento, nel suo originale non conservato, fosse indirizzato anche ad altri o che avesse una portata generale.
La costituzione 10, 1, 8 è indirizzata ad un funzionario avente una competenza specifica, il comes rerum privatarum Cesario, perché si attenga al dettato della norma generale contenuta in CTh. 5, 13, 3 del dicembre 364: norma che, pertanto, deve presumersi già emanata, come sembra risultare anche dall’utilizzo del verbo al passato: «ei patrimonium placuit adgregari».
Se, dunque, le osservazioni svolte sono esatte, la costituzione 8 De iure fisci è successiva alla costituzione 3 C.Th. 5, 13 e il problema della sua datazione si risolve, così, senza ricorrere a forzate modifiche paleografiche, riportandola all’anno 365, il cui consolato era originariamente indicato nella subscriptio con la sigla del post-consolato, poi trasformatosi, volutamente o per errore, in consolato.
Una soluzione, quest’ultima, che consente anche di sciogliere la sigla MED. in Mediolani, località ove Valentiniano soggiornò nell’inverno tra il 364 e il 365, come è attestato dal racconto di Ammiano Marcellino [39] e dalle costituzioni coeve, recanti per esteso il luogo di emanazione [40].
Del resto, per quanto qui specialmente rileva mettere in luce, una simile ipotesi consente altresì di ribadire, in definitiva, come la linea di politica legislativa volta a correggere i provvedimenti di Giuliano in tema di appartenenza dei fondi cittadini ai templi [41] fosse opera di Valentiniano, che, tra i primi interventi legislativi (dopo la separazione da Valente), emanò non solo la norma generale del 23 dicembre 364 (CTh. 5, 13, 3), ma anche le disposizioni attuative del 4 febbraio 365 (CTh. 10, 1, 8). Fu, infatti, con tale imperatore che i fondi cittadini, originariamente alienati in favore dei templi, rientrarono nella piena e completa disponibilità della res privata principis, cui doveva pure spettare l’amministrazione e la gestione delle rendite ad essi relative [42].
- I primi interventi dei Valentiniani relativi alla gestione del patrimonio immobiliare imperiale subirono, nel corso del dodicennio di correggenza, però, un brusco e significativo revirement: infatti, una parte delle rendite, ricavate dalla gestione dei fondi cittadini appartenenti alla res privata, nonostante le difficoltà incontrate per rendere le terre redditizie[43], furono restituite alle città per la ricostruzione e la conservazione degli edifici pubblici[44].
Notizie preziose, in ordine alle modifiche del regime dei fundi rei publicae, si possono ricavare dall’esame dell’epigrafe, rinvenuta a Efeso nel 1904, in cui è riportata una costituzione dell’imperatore Valente. Si tratta di un provvedimento, privo di subscriptio e di data incerta, che deve presumibilmente essere collocato negli anni 371-372, quando il destinatario, Eutropio, resse il proconsolato d’Asia [45]:
D.d.d. n.n.n. avggg. Valentinia[nvs, Valens], Gratianvs hav(e), Evtropi car(issim)e Nobis. [Quod ex red]itibus fundorum iuris re[i publicae quo]s intra Asiam diversis quibusque civitatibus ad instaurand[am mo]enium fac[iem … pr]o certis [partibu]s habita aestimatione concensimus capere quidem urb[e]s singulas beneficii nostri uberem fruetum et pro [temporum r]efers felici[tate nostror]um a foedo [prioru]m squalore ruinarum in antiquam sui faciem nova reparatione consurgere, verum non integram gra[tiam concessi ad [ur]bes singulas beneficii [perv]enire si quidem pro partibus praestitis reditus civitatibus potius q[ua]m ipsi cum reditibus fundi fuerint restitu[end]i et ministrandi, idem reditus ab acto[ri]bus [pr]ibatae rei nostrae et diu miserabiliterque poscantur et vix aegr«a»eque tribuantur adque id quod amplius e[x i]sdem fundis super statutum canonem [c]olliga«n»tur, et isdem civitatibus pereat eorundemqu«a»e actorum fraudibus devoratum nihil tamen aerario nostro adiciat augmenti possitque a curialibus vel exultione maiore vel propensione diligentia nonnullus praestitionis cumulus ad gratiam concessionis accedere, igitur cuncta diligenti coram investigatione perspeximus.
Analizzato dal punto di vista del contenuto [46], il testo, che espone la particolare situazione dell’Asia – prevede che una parte delle rendite dei fundi rei publicae (linea 2) debba essere restituita alle città: «pro partibus praestitis reditus civitatibus … restituendi» (linea 5), affinché si possa provvedere alla manutenzione delle mura e degli edifici pubblici («ad instaurandam moenium» – linea 2 –). L’importo da rimborsare non viene specificato nel suo ammontare, dipendendo di volta in volta dalle esigenze delle singole città («pro certis partibus» – linee 3 e 5 –): ma la titolarità e l’amministrazione dei fundi rei publicae, in ossequio alle rigide disposizioni di Valentiniano I (C.Th. 10, 1, 8 e 5, 13, 3), paiono continuare a fare capo alla res privata («partem reditum, non fundorum»: linea 10), i cui funzionari («ab actoribus pribatae rei nostrae»: linea 6) – habita aestimatione (linea 3) – sono tenuti a effettuare i versamenti alle città, cui spetta la reliqua summa (linea 18):
Et primum Efesenae urbi, quae Asiae caput est, missa ad nos dudum legationem poscent[i p]artem redituum non fundorum advertimus fuisse concessam; unde illi interim quam esse omnium maximam nulla dubitatio est, in parte co[n cessa] cum eo fundo quem Leucem nomine nostra iam liberalitate detentat, tra[di] centum iuga promulgata sanctione mandavimus, ut eius exemplo quid adhoc ista in reparandis moenibus profecerit intuentes an reliquis praestandum sit similia, decernamus. Hac sane quia ration[e] plenissima, quod intra Asiam rei publicae iu[g]a esse videantur cuiusque qualitatis quantumve annua praestatione dependant, mansuetudo nostra instructa [c]ognovit, offerendam experentiae tu[ae] credidimus optionem, ut, si omnem hanc iugationem quae est per omnem diffusa«m» provinciam, id est sex milia septingenta triginta sex semis opim[a] adque idonea iuga, quae praeter vinum solidorum ad fixum semel canonem trea milia extrinsicus solidorum annua praestare referuntur, sed et septingenta tr[ia deserta] et iam defecta [a]c sterilia iuga quae p[e]r illa quae idonea diximus sustinentur, suscipere propria praestatione non abnuis, petitis maiestas nostra consen[tiat] s[c]ili[c]et u[t] arbitrio tuo per curias singulas omni iugatione dispersa retracto eo redituum modo quem unicuique civitatum propria largitate concen[simus r]eliquam summam per officium tuum rei privatae nostrae inferre festines, ut et omnem usuram diligentia«m» avidis eripiamus actoribus et si quid extrinsi[cus] [luc]ri est, cedat rationibus civitatum. Sane quia rerum omnium integram cupimus habere notitiam et ex industria nobis tuam expertam diligen[ti]a[m pollic]emur, plena te volumus ratione disquirere per omnem Asiam provinciam fundos iugationemque memoratam, qui in praesentem diem [habita licitati]one possideant et quantum per iura singula rei privatae nostrae annua praestatione dependant, qui etiam opimi adque utiles fundi […]o gr[… si]ngulis quibusque potentissimis fuerit elocati et qui contra infecundi ac steriles in damnum rei nostrae paenes actores fuerint d[erelicti s]cilicet ut omni per idoneos ratione discussa ac confectis quam diligentissime brevibus mansuetudini nostrae veri fidem nunt[i]es, u[t inst]ructi super omnibus amplissimum efficacis industria praestantiae tuae testimonium deferamus.
- Tale regime trova conferma -ed ulteriore precisazione- anche in due provvedimenti conservati nel Codice Teodosiano, che fissano in un terzo la quota di rendite dei fundi rei publicae da assegnare alle città, dapprima di ammontare indeterminato.
Rileva, anzitutto, la c. 18 CTh. 15,1 :
Imppp. Val(entini)anus, Valens et Gr(ati)anus aaa. ad Probum p(raefectum) p(raetori)o. Rectores provinciarum quodcumque opus inchoandum esse necessario viderint in aliqua civitate, id arripere non dubitent. Si civitatis eius res republica tantum in tertia pensionis parte non habeat, quantum coeptae fabricae poscat inpendium, ex aliarum civitatum rei publicae canone praesumant, tertiae videlicet portionis. P(ro)p(osita) vii kal. Feb. Sirmio Gr(ati)ano a. iii et Equitio conss.
Il testo reca una subscriptio incompleta, con la sola indicazione della data (26 gennaio 374) e del luogo di pubblicazione (Sirmio) e deve pertanto presumersi emanata negli ultimi mesi del 373.
Analizzato dal punto di vista del contenuto, il provvedimento prevede una sorta di «solidarietà» tra le singole civitates, perché consente l’utilizzo, da parte di una città che ne necessiti, di un terzo delle rendite dell’altra [47].
È, però, evidente che una simile disposizione abbia, quale indispensabile premessa logica e cronologica, l’avvenuta emanazione del principio generale contenuto nella c. 7 CTh. 4, 13[48], indirizzata dal proconsole d’Africa, Costanzo:
Imppp. Val(entini)anus, Val(ens) et Grat(ianus) aaa. ad Constantivm proc(onsvlem) Afric(ae). Ex reditibus rei publicae o[m]niumque titulorum ad singulas quasque pertinentium c[ivita]tes duae partes totius pensionis ad largitiones nostras [perve]niant, tertia probabilibus civitatum deputetur expensis. [Dat.] vii Id. Sept. Mogontiaci p.c. Grat(iani) a. iii et Eqviti v.c. Conss.
Essa, presupponendo confiscati i fundi di ogni genere [49], dispone, con un’affermazione netta e categorica, che una quota fissa delle rendite –nella misura di un terzo e non più in percentuale variabile– venga attribuita alle città [50], mentre i rimanenti due terzi siano lasciati alla res privata [51].
A ben vedere, però, la data di emanazione del provvedimento (7 settembre 375) è successiva a quella di emissione di CTh. 15, 1, 18 (ultimi mesi del 373): circostanza che, come è ovvio, impone un generale riesame dell’intero problema di datazione dei due testi.
In primo luogo, va detto che la data di emissione della c. 7 CTh. 4, 13 è incompatibile sia con il luogo di emanazione che con il destinatario: la subscriptio, infatti, indicata come per tutte le altre costituzioni del 375 con il post-consolato di Graziano III ed Equizio [52], non si concilia né con la località di Mogontiacum, essendo l’imperatore Valentiniano – nell’autunno di quell’anno – sul Danubio a combattere i Quadi e i Sarmati [53], né, tantomeno, con il destinatario, Costanzo, che rivestì il proconsolato d’Africa nell’anno 374 [54] e che risulta essere morto il 6 luglio 375 [55], cioè prima della data indicata nella subscriptio del provvedimento: circostanza, quest’ultima, indirettamente confermata dall’esame di CTh. 12, 6, 6 indirizzata al suo successore Chilone, che rivestiva l’incarico già nell’aprile 375.
Ciò nonostante, un’anticipazione – oltre un certo limite – della datazione di CTh. 4, 13, 7 a un momento anteriore alla emissione di C.Th. 15, 1, 18, non è paleograficamente, né storicamente corretta a causa dell’esistenza di una costituzione, la c. 73 CTh. 12, 1, indirizzata al predecessore di Costanzo, Simmaco, il quale risulta rivestire il proconsolato d’Africa ancora nel novembre 373.
La dottrina, da tempo, ha affrontato i seri problemi di natura palingenetica che i due testi sottendono: il Mommsen, seguito dal Pharr [56], ipotizzando uno scambio tra la sigla del post-consolato con quella del consolato, attribuisce la c. 7 CTh. 4, 13 all’anno 374 [57], mentre il Voci [58] ne perfeziona l’intuizione, completando la lacuna della subscriptio con la sigla del propositum e anticipando di qualche mese, per tale via, la probabile data di emanazione del provvedimento. Una ipotesi più articolata è proposta dal Seeck [59], il quale ritiene che il post-consolato di Graziano ed Equizio indicasse, nel provvedimento in esame, la data di pubblicazione della costituzione e che, nella subscriptio, fosse caduta l’indicazione del luogo e della data del propositum: il provvedimento, emanato a Mogontiacum il 7 settembre 374, sarebbe stato pubblicato nei primi mesi dell’anno successivo, ma non oltre il 9 aprile, data di emanazione di CTh. 12, 6, 6, indirizzata al proconsole d’Africa Chilone, successore di Costanzo nella carica. Tale ipotesi risulta paleograficamente e storicamente quella più plausibile, anche perché confortata dall’utilizzo dell’indicazione della località di emissione del provvedimento, Mogontiacum, ove l’imperatore Valentiniano effettivamente risiedette nell’autunno 374, impegnato nella campagna contro gli Alamanni [60]. Soluzione che pare anche trovare conferma nella circostanza che l’unica altra costituzione indirizzata a Costanzo risulta emanata, con una datazione pacifica, nel 374 [61].
Se, dunque, la c. 7 CTh. 4, 13 può fondatamente considerarsi emanata nel settembre 374, un coordinamento con CTh. 15, 1, 18 può raggiungersi ipotizzando – per quest’ultimo provvedimento – una lieve modifica della subscriptio: originariamente essa avrebbe contenuto la indicazione del post-consolato di Graziano ed Equizio, poi trasformatosi – volutamente o per errore – in consolato. Tale soluzione, plausibile per essere la costituzione datata nei primi mesi dell’anno, consente di fissare al 26 gennaio 375 la data di pubblicazione di C.Th. 15, 1, 18: la presumibile emanazione, pertanto, può ipotizzarsi avvenuta qualche mese prima, nell’ultima parte dell’anno 374, ma certo non prima del 7 settembre, data di emanazione di C.Th. 4, 13, 7.
Si tratta di un’ipotesi idonea a ricostruire, con la maggiore coerenza possibile, la legislazione imperiale di Valentiniano in tema di appartenenza dei fundi rei publicae alla res privata, mediante il coordinamento degli elementi formali e sostanziali della normativa imperiale coeva[62]: ribadito il principio della gestione statale, in ossequio ai provvedimenti emanati subito dopo la suprema investitura (CTh. 10, 1, 8 e 5, 13, 3), l’imperatore stabiliva dapprima, con CTh. 4, 13, 7 del settembre 374, che un terzo delle rendite, indipendentemente da necessità contingenti e senza una destinazione specifica, dovesse essere restituito alle città, precisando inoltre, con CTh. 15, 1, 18, di qualche mese successiva – quale momento di attuazione e di perfezionamento – che tali somme, qualora inutilizzate, potessero essere acquisite dalle altre civitates in base ai contingenti bisogni.
Il contenuto di una simile scelta legislativa fu dettata, anzitutto, dalla precaria situazione economica del regno nella seconda metà del quarto secolo[63]: il dissesto in cui versava l’impero dopo la sconfitta di Giuliano in Persia, efficacemente testimoniato dal racconto ammianeo (Ita hic quoque post procinctus Parthici clades magnitudine indigens inpensarum, ut militi supplementa suppeterent et impendium, crudelitati cupiditatem opes nimias congerendi miscebat)[64] era aggravato dall’aumento delle spese belliche per fronteggiare i barbari e dal dispendio dovuto a una doppia amministrazione in Oriente e in Occidente[65].
Fu per tale impellente urgenza che Valentiniano, immediatamente dopo l’elevazione alla porpora imperiale, emanò le due costituzioni contenute in CTh. 10, 1, 8 e in CTh. 5, 13, 3, con cui si riassorbivano tutti i beni cittadini nella res privata, cioè nel patrimonio imperiale [66], con l’obiettivo di potere soddisfare, con tale drastica misura, grazie alla riscossione dei tributi, i bisogni finanziari del regno. Misure che, però, indipendentemente dalle difficoltà di gestione di un simile ingentissimo patrimonio immobiliare[67], non impediranno l’emanazione di provvedimenti volti al soddisfacimento delle contingenti necessità economiche delle singole civitates, rimaste prive di qualsiasi risorsa[68]: accertata, mediante aestimatio, l’urgenza della manutenzione degli edifici pubblici, fu stabilito, infatti, come attestato dalla costituzione di Valente contenuta nell’epigrafe di Efeso, il rimborso alle città di una parte delle entrate ricavabili dalla gestione dei fondi pubblici. Dapprima l’ammontare fu variabile; in seguito, sia a causa delle lamentele delle città, che ricevevano – e solo dopo lunghi indugi – la quota fissata, senza più beneficiare di pagamenti straordinari [69], sia, soprattutto, perché l’imperatore voleva potersi liberare dell’onere della gestione delle opere pubbliche nelle province[70], fu stabilito che la quota di un terzo delle rendite dei beni cittadini, indipendentemente dall’accertamento delle effettive necessità contingenti, venisse, in via automatica e in misura fissa, corrisposto alle civitates, (CTh. 4, 13, 7), che, tra loro, potevano reciprocamente beneficiare delle rispettive concessioni non utilizzate (C.Th. 15, 1, 18).
Per quanto specialmente interessa mettere in luce, la politica legislativa di gestione del patrimonio immobiliare da parte dei Valentiniani[71], evidenzia come la res privata principis abbia mantenuto la titolarità e la gestione dei fundi rei publicae, che non hanno mai cessato di appartenerle, nell’ottica, è stato autorevolmente scritto, di accrescere la consistenza patrimoniale dell’impero, «non solo per ragioni di prestigio personale e rapacità, ma per rafforzare al massimo il potere statale contro le spinte disgregatrici» [72]. Né può escludersi che negli intendimenti dell’imperatore vi fossero pure implicazioni di carattere religioso: l’attenzione di Valentiniano, posta, specialmente all’inizio del regno, su una categoria particolare di fondi cittadini, i fundi templorum, sembra mostrare una decisa reazione alla politica anticristiana e filopagana del predecessore Giuliano[73].
- Un regime analogo, caratterizzato dalla conferma della appartenenza dei fondi al patrimonio imperiale (Fiscus_Caesaris) e dalla sola concessione di un terzo delle rendite alle civitates, troverà esplicita conferma anche alla fine del quarto secolo, come dimostrano con chiarezza, alcuni interventi normativi di Arcadio ed Onorio[74].
Fra questi, spicca, anzitutto, la costituzione contenuta in
CTh. 15, 1, 32: Impp. Arcad(ius) et Honor(ius) AA. Eusebio com(iti) s(acrarum) l(argitionum). Ne splendidissimae urbes vel oppida vetustate labantur, de reditibus fundorum iuris rei publicae tertiam partem reparationi publicorum moenium et thermarum subustioni deputamus. Dat. xi kal. Iul. Med(iolano) Olybrio et Probino conss.
CTh. 15, 1, 33: Impp. Arcad(ius) et Honor(ius) AA. Have, Vincenti, K(arissime) Nobis. Praecipua nobis cura est, ne aut provinciales nostri superindictionibus praegraventur aut opera publica pereant vetustate conlabsa. Singuli igitur ordines civitatum ad reparationem moenium publicorum nihil sibi amplius noverint praesumendum praeter tertiam portionem eius canonis, qui ex locis fundisque rei publicae quotannis conferri solet, sicut divi parentis nostri Valentiniani senioris deputavit auctoritas. Dat. iii non. Iul. Med(iolano) Olybrio et Probino conss.
CTh. 5, 14, 35: Impp. Arcad(ius) et Hon(orius) AA. Hadriano c(omiti) s(acrarum) l(argitionum). Restaurationi moen(ium) publicorum tertiam portionem eius canonis, qui ex lo(cis fun)disve rei p(ublicae) annua praestatione confertur, certum (est sa)tis posse sufficere. De vectigalibus itaque publicis, quae [sem]per ex integro nostri aerarii conferebant expens[as, nih]il omnino decerpi nomine civitatum permittim[us. Dat.] viii id. Avg. Olybrio et Probino conss.
I tre provvedimenti normativi, tutti dell’estate 395, ribadiscono la rigida politica legislativa della cancelleria imperiale relativa alla concessione alle città esclusivamente di un terzo delle rendite dei fundi rei publicae, con un richiamo esplicito, effettuato dalla c. 33 CTh. 15.1, alla precedente legge di Valentiniano (c. 18 h.t.): divi parentis nostri Valentiniani senioris deputavit auctoritas.
Solo qualche anno più tardi, Onorio dovette cedere alle insistenti richieste delle città: la c. 5 CTh. 10.3, emanata a Milano il 26 novembre del 400, infatti, disponeva che i terreni e gli edifici cittadini -tranne quelli de iure templorum aut per diversos petita aut aeternabili domui fuerit congregata, vel civitatum territoriis ambiuntur– fossero attribuiti, a titolo di ius perpetuum salvo canone, alle città o alle corporazioni che in esse vi si trovavano:
CTh. 10.3.5: Impp. Arcad(ius) et Honor(ius) AA. Messalae p(raefecto) p(raetori)o. Aedificia, hortos adque aedium publicarum et ea rei publicae loca, quae aut includuntur moenibus civitatum aut pomeriis sunt conexa, vel ea quae de iure templorum aut per diversos petita aut aeternabili domui fuerint congregata, vel civitatum territoriis ambiuntur, sub perpetua conductione, salvo dumtaxat canone, quem sub examine habitae discussionis constitit adscriptum, penes municipes, collegiatos et corporatos urbium singularum conlocata permaneant omni venientis extrinsecus atque occulte conductionis adtemptatione submota. Officia etiam palatina decem librarum auri multae subiaceant, si cui adversus praecepta huius sanctionis venienti aditum adsentatione praestiterint. Dat. vi kal. Dec. Med(iolano) Stilichone et Aureliano conss.
Ancora più ampia la concessione contenuta nella successiva costituzione 41 CTh. 15,1, emanata il 4 luglio 401, con la quale la cancelleria imperiale, nel ribadire la concessione alle curie e alle corporazioni degli edifici cittadini, comprendeva anche gli aedificia iuris templorum, quae tamen nullis censibus patuerit obligata.
Il titolo della concessione, più che una piena titolarità, va inteso come ius perpetuum, non solo per coerenza con il testo emanato pochi mesi prima, ma anche considerando il seguito del provvedimento che, seppure in modo congetturale, è stato autorevolmente interpretato nel senso di una revoca delle precedenti concessioni effettuate a favore dei privati, se utili alle città, con l’attribuzione, invece, delle sole aree vacanti, purchè non destinate a pubblica utilità[75].
Quanto ai canoni, per il caso in cui i beni fossero concessi in locazione, dovevano essere versati alle città, per essere invece destinati alle casse imperiali per il caso di arretrati.
Un regime, quello dei beni che potevano essere donati ai privati per il caso di mancanza di pubblica utilità, che troverà una corrispondenza in Oriente, come è attestato dalla coeva costituzione di Arcadio, CTh. 15.1.40 del dicembre 398, che ci testimonia come ciò potesse avvenire per i beni “diruta penitusque destructa” [76]:
CTh. 15.1.40: Impp. Arcadius et Honorius AA. Eutychiano p(raefecto) p(raetori)o. Si aliquando operum publicorum petitores emergant, non nisi diruta penitusque destructa et quae parum sint usui civitatum petotoribus adsignetur. Dat. Id. Dec. Honorio A. iiii et Eutychiano conss.
- Un orientamento di maggiore ampiezza è testimoniato dagli interventi imperiali di Valentiniano III, che, con la c. 13 C. 4,61, emanata a Ravenna nel 431[77], nel ribadire il vigore del precedente regime, trasferiva alle casse imperiali tutti i vectigalia e i 2/3 delle rendite dei fondi cittadini e disponeva che alle città venissero assegnati in proprietà 1/3 dei fondi, che le stesse potevano gestire in piena autonomia:
- 4,61,13: Impp. Theodosius et Valentinianus AA. Flaviano pp. Exceptis his vectigalibus, quae ad sacrum patrimonium nostrum quocumque tempore pervenerunt, cetera rei publicae civitatum atque ordinum aestimatis dispendiis, quae pro publicis necessitatibus tolerare non desinunt, reserventur, cum duas portiones aerario nostro conferri prisca institutio disposuerat: atque hanc tertiam iubemus adeo indicione urbium municipumque consistere, ut proprii compendii curam non in alieno potius quam in suo arbitrio noverint constitutam. Designatae igitur consortium portionis eatenus iuri ordinum civitatumque obnoxium maneat, ut etiam locandi quanti sua interest licentiam sibi noverint contributam.
- L’assetto dei fondi cittadini nella legislazione del tardo impero è attestato, in via generale, dalla celebre novella 23 di Teodosio II dell’anno 443, in forza della quale, sotto il controllo del prefetto del pretorio e del magister officiorum, i fondi cittadini venivano restituiti alle città (praedia tam urbana quam rustica nec non etiam tabernae, quae ad ius civile pertinent): unica eccezione per quelli che erano stati posseduti dai privati per almeno trent’anni e quelli che fossero stati volontariamente ceduti dalle civitates tramite un procurator divinae domus o da un come rerum privatarum.
Un regime, per vero, non definitivo, solo considerando che appena pochi anni più tardi, Marciano, con la novella 3 del 451, tornerà sull’argomento, disciplinando due distinte ipotesi: quella relativa ai fondi restituiti alle città con la Novella 23 di Teodosio II, in cui era imposto, a partire dall’anno 450, il pagamento di un canone a favore delle città, nonchè quella relativa all’ipotesi di fondi che non erano stati restituiti e che erano rimasti appannaggio della res privata[78]: in tal caso, i privati che avevano continuato a possedere tali fundi, dovevano pagare un canone direttamente alla corona imperiale[79]: un regime, quest’ultimo, che a buona ragione, poteva considerarsi definitivo, se consideriamo che Giustiniano, nella sua compilazione, inserirà la Novella 3 di Marciano, escludendo invece quella di Teodosio.
- L’esame della legislazione imperiale in tema di gestione del patrimonio immobiliare, segnatamente di fundi rei publicae, testimonia una riflessione giuridica di rilevante significato, anche a livello pubblicistico, da parte delle cancellerie imperiali, con risultati alterni, spesso fra loro contraddittori, destinati a comprovare la centralità del tema in un momento storico nel quale l’afflusso di denaro alle casse imperiali costituirà la preoccupazione costante dei sovrani, pure di fronte all’esigenza di salvaguardare l’autonomia delle città e l’esigenza, particolarmente sentita, della manutenzione degli edifici pubblici.
Patrocinante avanti alle Magistrature Superiori
Professore presso il Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università Bocconi
[1] Voci, Nuovi studi sulla legislazione romana del tardo impero, Padova 1989, 18 ss.; Burdeau, L’administration des fonds patrimoniaux et emphytéotiques au Bas Empire Romain, in RIDA, 20 (1973), p. 285 ss.; Delmaire, Largesses sacrées, L’aerarium impérial et son administration du IVe au VIe siècle, Roma 1989, 641 ss.
[2] Jones, Il Tardo Impero romano (284-602 d.C.), 2, Milano 1974, 619 ss.; Masi, Ricerche sulla «res privata» del «princeps», Milano 1971, 55 ss.; De Martino, Storia della costituzione romana, 5, Napoli 1975, p. 430 ss.; Voci, Nuovi Studi sulla legislazione romana del tardo impero, Padova 1989, 18 ss.; Delmaire, Largesses sacrées et res privata cit. 25 ss. Seppure risalente, resta fondamentale His, Die Domänen der Römischen Kaiserzeit, Leipzig, 1896, p. 33 ss. Aggiornata messa a punto della struttura finanziaria del tardo Impero in De Giovanni, Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo tardoantico. Ale radici di una nuova storia, Roma2007, 223 ss. (in part. 228 nt. 166).
[3] Kornemann, Domanen, in PWRE, supp. IV, 1924 (rist. 1962), p. 261 ss.; Andreotti, Incoerenza della legislazione dell’imperatore Valentiniano I, in NRS, 15 (1931), p. 486; Jones, Il Tardo Impero romano, cit., p. 623 ss.; Schulten, Zwei Erlasse des Kaisers Valens über die «Provinz Asia», in Jahreshefte des österr. Archäol. Institutes in Wien, Band IX (1906), p. 46.
[4] Sui fondi appartenenti alle città, v. Ganghoffer, L’évolution des institutions municipales en occident et en orient au Bas-Empire, Paris, 1962, p.136; Delmaire, Largesses sacrées, cit., p. 645 ss.; Voci, Nuovi Studi, cit., p. 95 ss.
[5] Ammiano (25, 4, 15) narra, infatti, che Giuliano avrebbe restituito alle città le terre e i tributi: … vectigalia civitatibus restituta cum fundis absque his, quos velut iure vendidere praeteritae potestates …». Al riguardo, cfr. Sargenti, recensione a Voci, Nuovi studi, cit., p. 490.
[6] Lib., Or. 13, 45; 16, 19; 30, 6; 30, 37.
[7] Bernardi, The Economic Problems of the Roman Empire at the Time of its Decline, in SDHI, 31 (1965), p. 140.; De Martino, Storia della costituzione romana, cit., p. 430; Voci, Nuovi Studi, cit., p. 95; Jones, Il Tardo Impero romano, cit., p. 981; Chastagnol, La législation sur les biens des villes au IVe siècle à la lumière d’une inscription d’Ephèse, in Atti Accademia Romanistica Costantiniana, IV, Napoli, 1986, p. 86 ss.; Schulten, Zwei Erlasse, cit., p. 60. In senso contrario, Lepelley, Les cités de l’Afrique romaine au Bas Empire, 1, La permanence d’une civilisation municipale, Paris, 1979, p. 69, nt. 41.
[8] A rendere ancora più problematica l’ipotesi di una originaria confisca da parte della cancelleria costantiniana, milita la c. 3 C.Th. 4, 12 dello stesso imperatore, da cui si ricava che, almeno in relazione a una fattispecie particolare, riafferma i diritti delle civitates: Imp. Constantinvs A. ad populum. Cum ius vetus ingenuas fiscalium servorum contubernio coniunctas ad decoctionem natalium cogat nulla vel ignorantiae venia tributa vel aetati, placet coniunctionum quidem talium vincula vitari, sin vero mulier ingenua vel ignara vel etiam volens cum servo fiscali convenerit, nullum eam ingenui status damnum sustinere, subolem vero, quae patre servo fiscali, matre nascetur ingenua, mediam tenere fortunam, ut servorum liberi et liberarum spurii Latini sint, qui, licet servitutis necessitate solvantur, patroni tamen privilegio tenebuntur. Quod ius et in fiscalibus servis et in patrimoniorum fundorum originariis et ad emphyteuticaria praedia et qui ad privatarum rerum nostrarum corpora pertinent servari volumus. Nihil enim rebus publicis ex antiquo iure detrahimus nec ad consortium huius legis copulamus urbium quarumcumque servitia; volumus ut civitates integram teneant nec [imminutam] interdicti veteris potestatem. Si vel error improvidus vel simplex ignorantia vel aetatis infirmae lapsus in has contubernii plagas depulerit, haec nostris sanctionibus sit excepta. Dat. VI Kal. Sept. Serdicae Constantino A. VII et Constantio Conss.
[9] Delmaire, Largesses sacrées, cit., p. 641 ss.
[10] Chastagnol, La législation, cit., p. 85 ss.; Delmaire, Largesses sacrées, cit., p. 650 ss.; Lewin, Il dossier di Publio Ampelio, in AAC 13 (2001), 625 s., che afferma: “recenti studi hanno sostenuto che per un certo periodo nel corso del IV secolo (con ogni probabilità dall’epoca di Costantino fino al 358) le città vennero private delle proprie entrate consistenti nei vactigalia civici e nel ricavato degli affitti di terre cittadine; in base ad una disposizione imperiale tali entrate vennero incamerate dalla amministrazione contrale. Accettando questa interpretazione dovremmo ammettere che fu solo negli ultimi anni del regno di Costanzo II che le città poterono ottenere un quarto delle loro entrate a condizione di utilizzarlo per il restauro del proprio patrimonio edilizio”.
[11] Sul significato dell’espressione “divalibus iussis addimus firmitatem”, cfr. Cuneo, La legislazione di Costantino II, Costanzo II e Costante (337-361), Milano 1997, 367 s.
[12] Sulla lacuna nella subscriptio, vedi Mommsen, ad h.l. A ciò si aggiunga che non è possibile determinare se la data indicata sia quella di spedizione dell’epistula o quella della sua ricezione in Africa.
[13] In verità, Libanio (Or. 31, 16), descrive la città di Antiochia come se ancora possedesse, alla seconda metà del quarto secolo, grandi estensioni di terra civica: ma non si può escludere che la città, sede abituale dell’imperatore, godesse di un regime diverso e privilegiato rispetto alle altre.
[14] Andreotti, L’opera legislativa ed amministrativa dell’imperatore Giuliano, in NRS, 14 (1930), p. 351.
[15] Al riguardo, si legga CTh. 12, 1, 50 = 13, 1, 4: Imp. Iulianus A. Secundo p(raefecto) p(raetori)o. Post Alia: Decuriones, qui ut Christiani declinant munia, revocentur. Et ab auri atque argenti praestatione, quod negotiatoribus indicitur, curiae immunes sint, nisi forte decurionem aliquid mercari constiterit, ita ut ordines civitatum ex huiusmodi reliquis sarcinarum, ut iam diximus, amoveantur. Et quoniam ad potentium domus confugisse quosdam relatum est curiales, ut tam foeda perfugia prohibeantur, multam statuimus, ut per singula capita singulos solidos dependat, qui ad potentis domum confugerit et tantundem qui receperit multae nomine inferat. Nam si servus inscio domino susceperit, capite punietur, et ingenuus, qui invito patrono hoc fecerit, deportabitur. P(ro)p(osita) iii id. Mar. Const(antino)p(oli) Mamertino et Nevitta conss.
[16] Così, anche Amm. Marc. 25, 4, 15: «Vectigalia civitatibus restituta cum fundis».
[17] Voci, Nuovi Studi, cit., p. 95 ss.; Andreotti, L’opera legislativa, cit., p. 351; Ganghoffer, L’évolution, cit., p. 136; nonché Lib., Or. 13, 45.
[18] Voci, Nuovi Studi, cit., p. 96. Per il Seeck, Regesten, 210, CTh. 10,3,1 e CTh.11,7,2 erano parte, in origine, di un unico intervento normativo.
[19] Così, Ammiano (25, 4, 15): «vectigalia civitatibus cum fundis absque his, quos velut iure vendidere praeteritae potestates».
[20] Masi, Ricerche, cit., p. 31, nonché, più in generale, De Martino, Storia della costituzione romana, cit., p. 432, nt. 118.
[21] Andreotti, Incoerenza, cit., p. 494.
[22] Amm. Marc. 26, 1, 5: «Valentinianus nulla discordante sententia numinis adspiratione caelestis electus est».
[23] Amm. Marc. 26, 4, 3: «quintum Kalendas Aprilis … Valentem … Augustum pronuntiavit».
[24] Gotofredo propone di correggere, nella subscriptio, Prid. Non. Feb. con Prid. Non. Novemb., attribuendo la costituzione a Valentiniano (Codex Theodosianus, cit., ad h.l.), mentre Mommsen (ad h.l.) si limita ad annotare l’esistenza di una subscriptio dubia, poiché «eo die imperatores non fuerunt Mediolani». Il Seeck (Regesten, cit., p. 214), mantenendo ferma la data del 4 febbraio, attribuisce, al contrario, la costituzione a Gioviano, ipotizzando di individuare il luogo di emanazione in Mnizus, località tra Ancyra e Dadastana: soluzione cui aderisce, seppure dubitativamente, il Piganiol, L’Empire Chrétien (325-395)2, Paris, 1972, p. 166, nt. 2, il quale segue, infatti, l’impostazione del Seeck, «mais en hésitant beaucoup». Anche la dottrina successiva non ha raggiunto posizioni univoche: ne sono esempi le osservazioni del Soraci (L’imperatore Gioviano, Catania, 1968, p. 59, nt. 37), del Jones (Il Tardo Impero romano, cit., p. 981), del Masi (Ricerche, cit., p. 28 ss., il quale, ritenendo corretta la inscriptio, riferisce la costituzione «alla parte orientale dell’impero») e del Delmaire (Problèmes de dates et de destinataires dans qualques lois du Bas Empire, in Latomus, 44 [1987], p. 832 che propone «de respecter le nom des empereurs et la date de l’année, ainsi que le lieu d’émission, mais de corriger le mois en écrivant Ivn. au lieu de Feb., soit le 4 Juin 364; en ce cas Med. ne designerait pas Mediolanum mais Mediana») per l’attribuzione a Valentiniano e Valente; del Voci (Nuovi Studi, cit., pp. 29, 96, 158) e del Bonamente (Sulla confisca dei beni mobili dei templi in epoca costantiniana, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo. Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico [Macerata 18-20 dicembre 1990], Macerata, 1992, 177) per una attribuzione a Gioviano.
[25] Seeck, Regesten, cit., p. 111.
[26] Infatti la c. 7 C.Th. 10, 1 è attribuita a Costanzo e Giuliano: Imp. Constantinus A. et Iulianus CC.
[27] Ne sono prova convincente le costituzioni emanate, alla fine dell’anno 363, dopo la morte di Giuliano, che, pure dovendosi ragionevolmente ascrivere a Gioviano, continuano a recare, nelle inscriptiones, il nome dell’imperatore defunto (C.Th. 1, 22, 3; 8, 5, 16; 14, 4, 3; 12, 1, 56; 10, 19, 2; 11, 20, 1; 8, 1, 8).
[28] Jones, The Later Roman Empire (284-602). A Social Economic and Administrative Survey, 1, Oxford, 1964, p. 138: «Jovian, a genial and popular young man of little over thirty, who was no more than the senior member of the corps of domestici et protectores, … a nonentity»; Soraci, L’imperatore Gioviano, cit., p. 6: «Gioviano, un imperatore che ci appare come schiacciato, nella sua mediocrità, fra la figura storicamente suggestiva di Giuliano e la personalità vigorosa e decisa di Valentiniano»; Solari, La elezione di Gioviano, in Klio, 25 (1933), p. 331: «Era certo egli impari al peso del governo, per il quale si richiedevano ben altre spalle». Scrive, del resto, Ammiano Marcellino (25, 5, 4): «Iovianus eligitur imperator, domesticorum ordinis primus, paternis meritis mediocriter conmendabilis».
[29] Solari, La elezione di Gioviano, cit., p. 334.
[30] Sargenti, Aspetti e problemi dell’opera legislativa dell’imperatore Giuliano, in Atti III Convegno Internazionale Accademia Romanistica Costantiniana, Perugia, 1979, p. 194 ss. (ora anche in Studi sul diritto del tardo impero, Padova, 1986, p. 177 ss.); Fasolino, L’imperatore Valentiniano I, L’impero e i problemi storiografici, Napoli, 1976, p. 10; Meloni, L’impero romano dalla battaglia di Azio a Teodosio I, Torino, 1963, p. 606.
[31] Sul punto, Federico Pergami, Rilievi sulla produzione normativa di Gioviano, cit., p. 276 ss.
[32] Gotofredus, Codex Theodosianus, cit., ad h.l.
[33] Seeck, Regesten, cit., p. 214.
[34] Delmaire, Problèmes de dates, cit., p. 832.
[35] Solari, La elezione di Gioviano, cit., p. 334.
[36] Cfr. C.Th. 10, 3, 1.
[37] Si legga, per tutti, Masi, Ricerche, cit., p. 28 ss. (e la bibliografia citata), il quale ritiene che datazione e destinatario diversi sarebbero da attribuire alla suddivisione dell’impero e che, pertanto, la c. 8 C.Th. 10, 1 – accogliendo le correzioni del Gotofredo in ordine alla datazione (Prid. Non. Novemb.) e al luogo di emanazione (Mediana) – sarebbe da riferire alla pars Orientis, cioè a Valente (ma, contra, Mommsen, Prolegomena, cit., p. CXXL, che ritiene il destinatario un comes rerum privatarum occidentale). A ben vedere, però, è poco probabile che la costituzione possa essere stata emanata in novembre da Valente, nel sobborgo di Naisso. È vero che nel giugno dell’anno 364 gli imperatori, nel viaggio da Costantinopoli verso l’Occidente, avevano stabilito in tale località le loro comitivae (Amm. Marc. 26, 5, 1: «percursis Thraciis Naessum advenerunt, ubi in suburbano, quod appellatum Mediana a civitate tertio lapide disparatur»), ma non esiste alcun elemento che consenta di provare che l’apparitor Valente (Amm. Marc. 26, 4, 3) vi si trovasse ancora in autunno, esistendo – al contrario – una testimonianza di Sozomeno (Hist. Eccl., 8, 7, 8) che lo indica ad Eraclea. Inoltre, è difficile pensare che una norma di grande importanza, come è la c. 8 C.Th. 10, 1, possa avere avuto una portata territorialmente circoscritta alla parte orientale, né sembra corretto ipotizzare che una linea di politica legislativa – e per di più in un settore tanto delicato – fosse adottata prima da Valente, nel novembre 364, e poi da Valentiniano, il 23 dicembre, atteso il rapporto di subordinazione dell’uno nei confronti dell’altro (Amm. Marc. 26, 4, 3; 26, 5, 2-4; Soz., Hist. Eccl., 4, 6, 2; Soraci, L’imperatore Valentiniano I, cit., p. 36, nt. 86; De Bonfils, Ammiano Marcellino e l’imperatore, Bari, 1986, p. 17.
[38] In ordine alla sfera di applicazione delle costituzioni imperiali, cfr. Federico Pergami, Sul valore normativo delle costituzioni imperiali, in Liber amicorum per Giovanni de Bonfils (in corso di stampa).
[39] Amm. Marc. 26, 5, 4: «Et post heac cum ambo fatres Sirmium introissent, diviso palatio, ut potiori placuerat, Valentinianus Mediolanum».
[40] Per tutte, cfr. C.Th. 2, 1, 4.
[41] Sulla diversa concezione della res privata tra Giuliano e Valentiniano, Soraci, L’imperatore Valentiniano I, cit., p. 154 ss.; Andreotti, Incoerenza, cit., p. 487 ss.
[42] Una conferma in ordine al generale atteggiamento di Valentiniano di conservare alla res privata tutte le categorie di immobili pubblici si ha leggendo C.Th. 5, 15, 19: Impp. Valentinianvs et Valens AA. ad Germanianvm C(omitem) S(acrarvm) L(argitionvm). Fundi enfyteutici patrimonial[is]que iuris in antiquum ius praestationemque redeant, ne quoqu[o modo] exemti ab enfyteutico patrimonialique titulo veluti priv[a]to iure teneantur, rectoribus provinciarum et rationalib[us] monendis, ut sciant contra commoda largitionum nost[ra]rum specialia non admittenda esse rescripta, his tantu[m]modo exceptis, quos in re privata nostra secundum leg[em] datam iam dudum in hoc nomine manere praecepimus. D[at.] V.K. Avg. Val(entini)ano et Valente AA. Conss.
Sul contenuto della costituzione, cfr. Burdeau, L’administration des fonds patrimoniaux, cit., p. 292 ss.; Id., Le «ius perpetuum» et le régime fiscal des «res privatae» et des «fonds patrimoniaux», in Iura, 23 (1972), p. 6 ss. La costituzione, come C.Th. 7, 7, 1 e 5, 15, 19, presenta notevoli difficoltà di datazione e di attribuzione a causa della incertezza nella successione di comites sacrarum largitionum fra il 365 e il 366 (cfr. Federico Pergami, La legislazione, cit., p. 226 ss.). Nel provvedimento in esame si impartiscono ai comites sacrarum largitionum disposizioni perché i «fundi enfyteutici patrimonialisque iuris in antiquum ius praestationemque redeant» e si richiama espressamente una lex iam dudum data, con cui si era stabilito che i fondi della res privata dovessero conservare la loro condizione (in hoc nomine manere praecipimus). La lex iam dudum data può essere identificata nella c. 17 h.t.: [Impp. Valentinianvs et Valens] AA. ad Mamertinvm P(raefectvm) P(raetori)o. Super fundis enfyteuticis seu patrimonialibus divus Iulianus legem consultissimam dedit, scilicet ut, qui ex his vel ad privatorum iura transissent vel minuto canone condicionis fisco locationibus tenerentur, ad statum retraherentur antiquum. Hanc legem quidam iudicum interpretati pravius sunt quam utilitas publica postulabat, ut eiusmodi praedia ex rebus privatis nostris eruentes ibi tantummodo satisfacerent legi, ubi non intererat fisci vectigalibus, utrumne privato iure an enfyteutico possideret. Quamquam igitur animadvertimus esse consultius in eodem statu fundi maneant, in quo ante legem divi Iuliani fuerant, de quibus tamen nihil specialiter statuit, ab his, quibus omnia deinceps erogata sunt, auctoritas tua redhiberi eos maturo iubebit auxilio. Erga ceteros sane fundos, quos recentium principum effusio aut perpetuo iure donavit aut deminuto canone concessit enfyteuticariis obtinendos, edictum conprehensi principis auctoritas tua valere praecipiat. Dat. et P(ro)p(osita) Rom(ae) VI K. Nov. Divo Ioviano et Varroniano Conss.
Il provvedimento è di incerta interpretazione (cfr. Voci, Nuovi Studi, cit., p. 72 ss. e p. 159 ss.), ma dal suo esame sembra emergere chiaramente l’intento imperiale di conservare alla res privata i fundi enfyteutici seu patrimonialibus (su cui cfr. Voci, Nuovi Studi, cit., p. 20 ss. e p. 45 ss.) che la prava interpretatio di una consultissima lex di Giuliano tenderà, invece, ad eruere. Sul contenuto di tale costituzione cfr. Burdeau, L’administration des fonds patrimoniaux, cit., p. 289 ss.; Id., Le «jus perpetuum» et le regime fiscale des «res privatae», cit., p. 6 ss. in part. p. 11.
[43] Andreotti, Incoerenza, cit., p. 487: «Un conto era ammassare terre; un altro renderle redditizie per lo Stato, tant’è vero che si dovette persino dichiarare obbligatoria l’accettazione di fondi della res privata, perché non si trovavano braccia sufficienti per lavorarli».
[44] Vera, Forme e funzioni della rendita fondiaria nella tarda antichità, in Società romana e Impero tardoantico, I, Bari, 1986, p. 396. Sulla urgenza della ricostruzione degli edifici pubblici, Chastagnol, La législation, cit., p. 88; Lepelley, Les cités de l’Afrique romaine au Bas Empire, cit., p. 91; Andreotti, Incoerenza, cit., p. 494, nt. 2.
[45] Jones, Martindale, Morris, The Prosopography of the Later Roman Empire, Cambridge, 1975-1980, p. 317, Eutropius, 2; Seeck, Die Briefe des Libanius zeitliche geördnet, Leipzig, 1906, p. 151 ss.; Schulten, Zwei Erlasse, cit., p. 43 (CIL 13619, 13621).
Sulla data di restituzione alle città delle rendite dei fondi cittadini, cfr. Andreotti, Incoerenza, cit., p. 494, nt. 2, secondo il quale tale restituzione, dettata dalla «necessità di riprendere il ritmo delle opere pubbliche, almeno più urgenti, deve essere avvenuta dopo parecchi anni dalla confisca, giacché il governo, sempre a corto di quattrini, non poteva fare a meno di cercare di tenere tutti i beni urbani sino al limite del possibile, e, d’altra parte, sarebbe stato ridicolo che, appena confiscatili, subito ne restituisse una parte».
[46] Sulla ricostruzione del testo, Schulten, Zwei Erlasse, cit., p. 40 ss. e, da ultimo, Chastagnol, La législation, cit., p. 77 ss. (con traduzione francese). Sul completamento della lacuna alla linea 2: fundorum iuris re[] in rei publicae, già effettuato dall’Heberday (Jahreshefte des österr. Archäol. Institutes in Wien, Band IX (1906), p. 184), cfr. Fira, 1, p. 511, nonché Chastagnol, La législation, cit., p. 86. Completa la lacuna con r[ei privatae]: Schulten, Zwei Erlasse, cit., p. 40.
[47] Voci, Nuovi Studi, cit., p. 97 s.; Schulten, Zwei Erlasse, cit., p. 57; Chastagnol, La législation, cit., p. 100; Delmaire, Largesses sacrées, cit., p. 653.
[48] Bernardi, The Economic Problems of the Roman Empire, cit., p. 140; Schulten, Zwei Erlasse, cit., p. 56.
[49] Per Voci, Nuovi Studi, cit., p. 98, gli omnes tituli potrebbero indicare i fundi templorum (su cui, supra, nt. 14) e i fondi agonothetici (fondi cittadini le cui rendite erano destinate a finanziare giochi pagani: cfr. Reisch, in PWRE, 1, 1893 [1958], p. 870 ss., nonché D. 10, 2, 20, 7; 50, 4, 18, 17; 50, 12, 10).
[50] Andreotti, Incoerenza, cit., p. 494, nt. 2; Voci, Nuovi Studi, cit., p. 98; Chastagnol, La législation, cit., p. 99 ss.; Piganiol, L’Empire Chrétien, cit., p. 209; Delmaire, Largesses sacrées, cit., pp. 277 e 653. Contra, seppure dubitativamente, Jones, Il Tardo Impero romano, cit., p. 981: «a partire dal 374 una parte fissa delle rendite delle terre … un terzo, fu concesso alle città … e sembrerebbe che le terre stesse fossero poste sotto l’amministrazione delle città».
[51] Sul rapporto res privata-privatae largitiones cfr. Voci, Nuovi Studi, cit., p. 34.
[52] C.Th. 12, 6, 16 = C. Iust. 10, 72 [70], 6; C.Th. 7, 13, 7; C.Th. 13, 6, 7; C.Th. 9, 1, 12; C.Th. 12, 1, 79 = C. Iust. 12, 57 [58], 5.
[53] Amm. Marc. 30, 5, 13: «Valentinianus Acincum propere castra commovit, navigiisque ad repentinum casum coniunctis, et contabulato celeri studio ponte, per partem aliam transiit in Quados».
[54] Jones, Martindale, Morris, Prosopography, cit., p. 227, Paulus Constantius.
[55] CIL 3,9506.
[56] Pharr, The Theodosian Code, cit., ad h.l.: «Hence, read: in the year of consulship (374)».
[57] Mommsen, Codex Theodosianus, cit., ad h.l., completa la subscriptio con la sigla DAT. annotando, in calce al testo, che «probabile est in subscriptione pro postconsulatu substituendum esse consulatum». Analoga soluzione in Prolegomena, cit., p. CCLII.
[58] Voci, Nuovi Studi, cit., p. 97.
[59] Seeck, Regesten, cit., p. 86.
[60] Amm. Marc. 30, 3, 4: «Haec memorantes addentesque utilia, reduxere eum in meliorem sententiam, statimque, ut conducebat rei communi, prope Mogontiacum blandius rex ante dictus accitur, proclivis ipse quoque ad excipiendum foedus, ut apparebat».
[61] Tale ipotesi ricostruttiva è corroborata dal rilievo che l’unica altra costituzione indirizzata a Costanzo risulta emanata, con una datazione pacifica, il 10 luglio 374 (CTh. 8, 5, 33).
[62] Soraci, L’imperatore Valentiniano I, cit., p. 155: «Questo vivo interesse di Valentiniano I per i problemi della res privata ha un significato politico oltre che economico».
[63] Varady, Contribution to the Late Roman Military Economy and Agrarian Taxation, in Acta Archaelogica Academiae Scientiarum Hungaricae, 14 (1962), p. 407 ss.
[64] Amm. Marc. 30, 8, 8.
[65] Mazzarino, Sulla politica tributaria di Valentiniano I (A proposito di un’epigrafe di Casamari), in Antico, tardoantico ed èra costantiniana, 1, Città di Castello, p. 100. Cfr. anche, Heering, Kaiser Valentinianus, I, Jena, 1927, p. 59; Andreotti, Incoerenza, cit., p. 483.
[66] Ganghoffer, L’évolution, cit., p. 136; Andreotti, Incoerenza, cit., p. 487; Delmaire, Largesses sacrées, cit., p. 643.
[67] Andreotti, Incoerenza, cit., p. 487; Puliatti, Nota sulla evoluzione del condono fiscale da Costantino a Giustiniano, in Studi Guarino, 4, Napoli, 1984, p. 1723.
[68] Andreotti, Incoerenza, cit., p. 494.
[69] Tali pagamenti vengono ora intascati dagli actores rei privatae (Jones, Il Tardo Impero romano, cit., p. 981).
[70] Puliatti, Nota sulla evoluzione del condono fiscale, cit., p. 1723.
[71]Andreotti, Incoerenza, cit., p. 487, il quale ritiene che l’avere attribuito nuovamente i fondi pubblici alla res privata non era una «delle misure più felici»; e prosegue (p. 495) osservando che «la tardiva provvidenza di concedere un terzo delle entrate alle città, verso la fine del regno, è il tacito riconoscimento di un gravissimo errore, ed una incomprensione economica funesta nei suoi risultati»; Puliatti, Nota sulla evoluzione del condono fiscale, cit., p. 1723: «la loro politica fiscale fu meno equa e controllata di quella di Giuliano, anzi su certi problemi contraddittoria … la confisca delle terre e dei tributi della città si dimostrò tutt’altro che salutare per la vita amministrativa delle comunità».
[72] Soraci, L’imperatore Valentiniano I, cit., pp. 156 e 159. Contra, Sargenti, Le res nel diritto del tardo Impero, in “Gaetano Scherillo. Atti del Convegno – Milano 22-23 ottobre 1992”, Milano 1994, p. 179: “Il fatto che in tutti i testi normativi a noi noti, anche più tardi, si continui a parlare di praedia rei publicae (CTh. 5.14.3, 10.3.2), di rei publicae loca (10.3.5), di loca publica civitatis (15.1.22), di ergasteria publica, quae ad ius pertinent civitatis (15.1.9), che si continui a vietare ai curiali di conducere i praedia et saltus rei publicae (CTh. 10.3.2 del 372) e che le stesse costituzioni nelle quali si ordina l’attribuzione alle città di una parte dei redditi parlino di reditus fundorum iuris rei publicae, di reditus fonduroum iuris rei publicae, tutto ciò induce a pensare che non si sia avuta una vera e propria espropriazione di quei beni, che essi siano rimasti, in linea di diritto, propri delle città, ma che la loro gestione sia stata sottratta a queste e attribuita agli amministratori del patrimonio imperiale”, sulla scia di Chastagnol, La législation sur les biens des villes au IVe siécle à la lumiere d’une inscription d’Ephèse, in AAC 6 (1986), 86 ss.
[73] Dissenziente, al riguardo, Soraci, L’imperatore Valentiniano I, cit., p. 171. In senso favorevole, Delmaire, Problèmes de dates, cit., p. 832: «On doit à Valentinien au début de son règne une abondante législation sur les domaines impériaux et cette loi (10, 1, 8) fait partie de la remise en ordre par laquelle sont abolies les mesures de Julien».
[74] Sul punto, in dottrina, Schulten, Zwei Erlasse, cit., p. 61; Bernardi, The Economic Problems of the Roman Empire, cit., p. 140; Voci, Nuovi Studi, cit., p. 98; Chastagnol, La législation, cit., p. 100 ss.; Delmaire, Largesses sacrées, cit., pp. 277 e 653.
[75] In senso analogo, si legga CTh. 15,1,43, che conferma come i loca publica, se non utili per le città, possono essere donati dall’imperatore ai privati: Impp. Arcadius et Honorius…Patentibus
[76] Relativa alla sola città di Eudoxiopolis, è la costituzione 42 CTh. 15.1, emanata a Costantinopoli il 14 luglio 404, con la quale Arcadio concede tutti gli ergasteria: “Eudoxiopolitanae civitatis cives pro oblata no…suam patriam ergasteria condonamus: Ne quis igitur ergasteria memorata a nostra serenitate deinceps petere moliatureaque ratione civium, quorum censum cupimus ampliari, iuyra perturbet”.
[77] Per il Voci, Nuovi Studi cit., 100, la data si ricava da C. 11.75.5 (= CTh. 11.1.36), poiché le due costituzioni avrebbero fatto parte, in origine, di un unico contesto normativo.
[78] Per il Voci, tali terreni dovevano identificarsi con i fundi templorum (Voci, Nuovi Studi, 102).
[79] Sebbene per un’ipotesi particolare, tale regime troverà applicazione con la c. 6 C. 11.70 dell’anno 480.