Il diritto romano e la giurisprudenza della Corte di Cassazione: la responsabilità per custodia dell’art.2051 c.c. di Prof. Federico Pergami
- Come è noto, il principio informatore del nostro ordinamento, in base al quale ogni cittadino risponde dei danni provocati dal proprio comportamento doloso o colposo, non è l’unico criterio di attribuzione della responsabilità civile. Il nostro codice, infatti, conosce altri criteri di imputazione della responsabilità: fra questi casi, assume una speciale rilevanza l’ipotesi dell’art. 2051 c.c. (“Danno cagionato da cose in custodia”), nel quale il fondamento della responsabilità non è la custodia in senso contrattuale, ma un effettivo e non occasionale potere sulla cosa che ne implichi, a qualsiasi titolo, il governo e l’uso, indipendentemente dalla ricerca di un nesso causale fra il comportamento del custode e l’evento.
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Tale regola trova il proprio fondamento nell’esperienza giuridica romana, che aveva individuato con chiarezza che il giudizio sulla responsabilità fondato sul rilevamento del nesso causale incontrava una limitazione nel riconoscimento della forza maggiore, quale fatto idoneo a spezzare il rapporto tra il comportamento del debitore e l’inadempimento, qualora ciò fosse dovuto a circostanze estranee alla sua condotta: sono illuminanti, al riguardo, alcuni passi delle Istituzioni di Gaio (3, 203 ss.) che denomina, per la prima volta, con il termine “custodia” questo tipo di responsabilità per distinguerlo da quella derivante da dolus o culpa: ipotesi nelle quali, al contrario, è coinvolta un’indagine sul comportamento personale tenuto dal debitore. In epoca più tarda, Giustiniano, avvalendosi dei risultati cui era giunta la giurisprudenza, generalizzerà concezioni che nei testi classici erano limitate alle soluzioni di casi concreti e giungerà a qualificare la responsabilità per la custodia di una cosa come una particolare specificazione della diligenza, qualificata infatti, exactissima in custodiendo.
- Le difformi soluzioni che l’esperienza giuridica romana testimonia hanno comportato un contrasto fra oscillanti opinioni sia in dottrina che in giurisprudenza sull’esatto inquadramento dogmatico della fattispecie, oggi definitivamente sopito dall’intervento della Corte Suprema, con pronuncia a Sezioni Unite (12019/1990): “Il termine custodia ha diverse accezioni nel diritto romano. Le opinioni che si sono succedute sulla portata della custodia, come criterio della responsabilità, possono essere raggruppate, nonostante le loro differenze, in due categorie: quella più antica, che riallaccia alla configurazione giustinianea, per cui la custodia non è che un tipo di diligentia, quella exactissima in custodiendae rei, la quale rimane un criterio soggettivo di determinazione della responsabilità; quella più recente, che individua il concetto di custodia nella responsabilità oggettiva. La custodia, cioè, si concretizza in un criterio oggettivo di responsabilità, intendendo per tale quello che addossa a colui che ha la custodia della cosa la responsabilità per determinati eventi, indipendentemente dalla ricerca di un nesso causale fra il comportamento del custode e l’evento. I limiti della responsabilità per custodia vanno, quindi, cercati nella determinazione degli eventi per cui il custode è chiamato a rispondere”.
- Il giudice delle leggi, dunque, mostra di accogliere, nell’interpretazione dei criteri di imputabilità previsti dall’art. 2051 c.c., la nozione di custodia elaborata dalla riflessione della giurisprudenza romana di età classica, rappresentata da un criterio oggettivo di responsabilità, che esclude ogni indagine soggettiva in relazione al comportamento del debitore, il quale è chiamato a rispondere dell’inadempimento indipendentemente dall’imputabilità dell’evento.