Federico Pergami – Nullum crimen, nulla poena sine lege: le origini del principio di legalità nel diritto penale.
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La recente pubblicazione di una sentenza della Corte Suprema (n. 40259 del 14.7 – 5.9.2017) in tema di abolitio criminis, intervenuta successivamente all’emanazione di una sentenza su pena concordata, offre la favorevole occasione di riflettere sulle origini storiche del principio di legalità, in base al quale non può esservi un reato -e di conseguenza una pena- senza una legge penale che proibisca quel comportamento.
- Il caso è noto: una sentenza del Tribunale di Torino in applicazione della pena concordata in un giudizio relativo a detenzione e spaccio di droga, nonché al reato previsto dall’art. 116 comma 15 e 17 Codice della Strada, successivamente abolito. La Corte Suprema, accogliendo un -seppure non univoco- orientamento giurisprudenziale, ha annullato senza rinvio la sentenza di primo grado, con trasmissione degli atti al giudice a quo per i residui reati, sul presupposto che “il venire meno di uno dei termini essenziali del contenuto dell’accordo che ha portato al patteggiamento travolge l’intero provvedimento e impone l’annullamento della sentenza per una nuova valutazione delle parti”.
Con la pronuncia in commento, dunque, pur avendo la Corte il potere di rettificare la specie o la quantità della pena quando ciò derivi dall’applicazione della legge più favorevole all’imputato, procedendo ad uno scomputo della pena per il reato abrogato ex art.619 comma 3 cpp , si è statuito che, a seguito dell’intervenuta abolizione di una fattispecie criminosa, sia venuto meno uno dei termini essenziali dell’accordo che ha condotto al patteggiamento, con conseguente necessità di porre le parti in gradi “di rivalutare le condizioni dell’eventuale accordo”.
- Si tratta, a ben vedere, di una rigorosa applicazione del principio di legalità che, sebbene -per opinione diffusa- venga fatto risalire alle elaborazioni illuministiche, nelle quali sarebbe sorta l’esigenza di una vera e propria scienza del diritto penale, trova la propria origine storica nella riflessione dei giuristi romani di epoca classica, che ne introducono i principi fondamentali.
- Ne è prova, anzitutto, un celebre frammento di Marciano (…facti quidem quaestio in arbitrio est iudicantis, poenae vero persecutio non eius volutati mandatur, sed legis auctoritati reservatur: D. 48.16.1.4), che -riportando l’opinione di Papiniano – precisa che se, per un verso, l’analisi fattuale della fattispecie criminosa è prerogativa del giudice, la pena è riservata all’autorità della legge. Così pure Ulpiano (“…poena non irrogatur, nisi quae quaque lege vel quo alio iure specialiter huic delicto imposita est: D. 50.16.131.1), che conferma come una pena possa essere inflitta al cittadino esclusivamente se imposta dalla legge e -infine- Modestino , per il quale non è possibile punire un delitto se non è definito in un testo legislativo (“quamquam enim temerarii digni poena sint, tamen ut insanis illis parcendum est, si non tale sit delictum, quod vel ex scriptura legis discendi”).
- Tali regole connoteranno, per vero, tutta l’esperienza giuridica del mondo romano, anche di epoca post-classica e giustinianea: in età imperiale, infatti, le leggi generali individuavano con grande precisione tutti i possibili comportamenti illeciti, fissando per ciascuno una pena determinata e affidando all’organo giudicante esclusivamente la verifica sull’effettivo compimento della fattispecie delittuosa. Era la prova vigesse un principio di “legalitarismo”, incentrato sulla prevalenza della legge sopra ogni altro precetto e sull’esigenza del suo rispetto da parte dei vari organi dello Stato: ciò che, in definitiva, conferisce ad ogni cittadino la possibilità di conoscere le regole da osservare e le conseguenze delle loro violazione.
Un principio, precisa la Corte Costituzionale (sent. 394/2006), che rappresenta “un essenziale strumento di garanzia del cittadino contro gli arbitri del legislatore, espressivo della calcolabilità delle conseguenze giuridico-penali della propria condotta, quale condizione necessaria per la libera autodeterminazione personale”.