Prof. Federico Pergami – L’istruzione preventiva nel sistema processuale romano
Come è noto, già il diritto romano attribuiva a tutti i cittadini liberi il diritto di agire in giudizio per ottenere il soddisfacimento di un proprio diritto. La realizzazione coattiva dei diritti dei cives segnò il passaggio dall’”autotutela” alla tutela “statale”: con la graduale formazione dell’assetto della civitas, infatti, si passò dalla difesa del diritto soggettivo, operata direttamente dal titolare della posizione giuridica, all’intervento degli organi statali, che coadiuvavano il soggetto privato nella realizzazione delle proprie pretese.
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Il passaggio dall’autotutela alla tutela giurisdizionale nella difesa dei diritti fu favorito dalla necessità, sempre più largamente sentita, di impedire ingiustificate resistenze o irragionevoli dubbi nell’affermazione dell’azione spettante al titolare del diritto soggettivo, nei cui confronti non era stato rispettato il corrispondente obbligo. L’intervento degli organi dello Stato nel sistema processuale si attuò, con forme e modalità differenti, nei tre sistemi procedurali che trovarono applicazione nella storia di Roma: il sistema più antico delle legis actiones, il processo classico delle formulae e il sistema del processo cognitorio (cognitio extra ordinem).
- In tutte le forme processuali, il diritto romano attuò l’esercizio della giurisdizione esclusivamente dopo una fase di mero accertamento del diritto, che costituiva un presupposto obbligatorio per l’emanazione della sentenza. Ne è prova documentale, volendo richiamare la più antica forma di tutela processuale, l’istituto della legis actio sacramento, nel quale l’attore enunciava la propria pretesa nella fase in iure, cioè in una fase anteriore a quella che si svolgeva davanti al giudice e che si concludeva con l’emanazione della sentenza. La fase preliminare del processo aveva ad oggetto l’accertamento del diritto e l’attore poteva procedere ad esecuzione solo per il caso in cui il convenuto non avesse opposto ragioni a sostegno della propria posizione. In particolare, questa forma processuale, che poteva avere ad oggetto cose mobili e immobili, era caratterizzata, per l’ipotesi di reciproca difesa delle rispettive posizioni, da un ordine del magistrato (Pretore) di abbandono della cosa litigiosa, che veniva affidata interinalmente ad uno dei contendenti sino all’accertamento giudiziale: di regola, in questa scelta era favorita la parte che si riteneva avesse maggiori probabilità di ottenere una sentenza favorevole nella successiva fase del giudizio, una sorta di fumus boni iuris.
- Di preventivo accertamento del diritto, cronologicamente anteriore alla pronuncia di merito, vi è ancora più evidente traccia nella seconda forma processuale, il sistema per formulas, caratterizzato dalla suddivisione in due fasi: una prima, quella in iure, affidata al controllo del magistrato (Pretore) e una seconda fase, solo eventuale, denominata apud iudicem: la prima fase, di mero accertamento, si concludeva, per il caso di convincimento del pretore della fondatezza della pretesa fatta valere in giudizio, con la concessione dell’azione (datio actionis), da esperire nella seconda fase davanti al giudice (apud iudicem, appunto), che si concludeva con la pronuncia di condanna o di assoluzione (sententia). Al contrario, se la pretesa non fosse stata ritenuta fondata, nessuna sentenza poteva essere emessa, in considerazione del fatto che la fase di accertamento preliminare si concludeva con la denegatio actionis.
- L’ampiezza delle decisioni di carattere preventivo rispetto alle sentenze di merito è testimoniata dall’introduzione, nel sistema processuale classico, di altri strumenti con cui il Pretore poteva accertare l’esistenza di un diritto e procedere alla sua immediata tutela. Fra questi, spiccano gli interdetti, atti di prevalente natura amministrativa, che consistevano in un comando emanato dal magistrato al fine di dirimere conflitti di interessi fra i privati oppure la restitutio in integrum, un rimedio accordato dal magistrato per rescindere gli effetti di un negozio giuridico irregolarmente concluso oppure ancora le stipulationes pretoriae, provvedimenti in forza dei quali il Pretore induceva le parti ad assumere determinati impegni mediante una stipulatio.
- Le conclusioni che si possono trarre sulla collocazione del processo nel sistema giuridico e che discendono dalla analisi della relazione storica e logica fra diritto soggettivo e azione, sono riflesse nella definizione di Celos, per il quale “nihil aliud est actio quam ius iudicio persequendi quod sibi debetur”. Per il giurista, dunque, l’actio costituisce una situazione soggettiva finalizzata a far valere in giudizio una pretesa sostanziale: il diritto romano ci consegna un sistema nel quale il vero e proprio iudicium, di fronte allo iudex, poteva iniziare esclusivamente a seguito dell’esito favorevole di un accertamento preventivo sulla fondatezza del diritto che si intendeva giudizialmente fare valere.