Federico Pergami – Sulla sfera di applicazione dei provvedimenti imperiali nel diritto romano tardoantico
1.– Sono particolarmente grato a Elio Dovere, a cui esprimo tutta la mia sincera e affettuosa riconoscenza, per avermi voluto annoverare fra coloro che hanno inteso onorare uno studioso del calibro di Giovanni de Bonfils, il cui prezioso lavoro, ormai definitivamente acquisito dalla comunità scientifica non solo nazionale, ha indiscutibilmente favorito, grazie a contributi scientifici divenuti ormai “classici”, una migliore e più approfondita conoscenza della realtà giuridica della Tarda Antichità.
Ho, dunque, accolto con entusiasmo l’invito a contribuire al presente volume per i sentimenti di profonda e sincera stima che mi legano all’onorato.
Non posso nascondere, però, che il mio rapporto con Giovanni de Bonfils ebbe un esordio -a dir poco- burrascoso: è nota, infatti, la vicenda relativa alla recensione, a lui affidata da Index, del mio primo lavoro monografico, il quarto volume dei “Materiali per una palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali”, pubblicato sotto l’egida dell’Accademia Romansitica Costantiniana, dedicato alla legislazione degli imperatori Valentiniano I e Valente[1], frutto di un assiduo e pluriennale impegno accanto al mai troppo compianto prof. Manlio Sargenti, che costituiva il primo risultato, per vero provvisorio, del progetto, destinato a riattivare, in collaborazione con le Università di Pavia, Perugia, Siena, Genova e Macerata, ma con un orizzonte cronologico più limitato, la ricerca avviata, alla metà del secolo scorso, dall’Accademia d’Italia, che si prefiggeva l’ambizioso obiettivo, bruscamente interrotto dall’avvio del secondo conflitto mondiale, di realizzare la palingenesi delle costituzioni imperiali emanate da Costantino a Teodosio II.
Nonostante Manlio Sargenti, nella Presentazione, precisasse che “la seconda serie dei Materiali per una Palingenesi delle costituzioni tardoimperiali -che solo per motivi contingenti si apre con questo volume quarto, dedicato alla legislazione di Valentiniano e Valente, vuole offrire il quadro, cronologicamente ordinato, dell’attività legislativa dei singoli imperatori attraverso la ricostruzione palingenetica del materiale normativo conservato nei Codici, nelle raccolte e nelle epigrafe” e contemporaneamente ammonisse, per un verso, che “s’intende che un quadro palingenetico veramente completo richiederebbe l’inserimento di altri dati sull’attività normativa imperiale, in particolare di quelli ricavabili dalle opere della letteratura, laica e religiosa, di questi secoli” e, per altro verso, che “non sarà mai abbastanza ripetuto che quello di cui si dà, in questo volume, un primo saggio, vuole essere solo l’abbozzo di un’opera assai più impegnativa, quale dovrà essere, nel risultato finale, la Palingenesi delle costituzioni tardo imperiali. E solo con la consapevolezza di questi suoi limiti lo presentiamo agli studiosi” [2], Giovanni de Bonfils stroncò, senza appello, il metodo e i risultati di quel lavoro.
E lo fece con toni perentori: in primo luogo in relazione all’utilizzo delle fonti letterarie, Ammiano fra tutti: “Il Pergami sembra ignorare quella letteratura che ha mostrato quali siano le chiavi di lettura delle Res Gestae e che costituisce un momento fondamentale, obbligato, qualora ci si voglia accostare in modo corretto ad esse. Per contro si lascia prendere da quella cattiva abitudine di citare le frasi di un’opera storica come fossero commi di un articolo del codice … la tesi di Federico Pergami è frutto di una analisi che porta ad una grande semplificazione dei problemi del IV secolo, ma lascia trasparire una scarsa sensibilità per i processi storici…a questa affermazione non seguono prove, ma una sbrigativa analisi…”[3]; ma anche con riguardo ai profili giuridici: “Veniamo ai dati normativi del periodo 364-375. È necessario chiarire quanto la posizione qui espressa sia lontana da ciò che Federico Pergami scrive nella sua introduzione”[4].
- – La recensione, in particolare, diede a Giovanni de Bonfils l’occasione per tornare sulla vexata quaestio dei rapporti legislativi fra le due partes Imperii: come è noto, il valore normativo delle costituzioni imperiali contenute nel Codice Teodosiano e quello, specularmente connesso, relativo alla loro sfera di applicazione, continua ad alimentare un acceso dibattito fra gli studiosi della tarda antichità[5], divisi fra coloro che ritengono che, quantomeno dall’ascesa al trono di Costantino, vigesse un vero e proprio dualismo legislativo[6] e chi, al contrario, sostiene che ogni costituzione imperiale, indipendentemente dall’attribuzione e dalla formale paternità, avesse vigore in tutto l’Impero[7].
Con nettezza, de Bonfils aveva aderito alla prima ipotesi ricostruttiva[8], a cui, per vero, anche di recente, la dottrina più autorevole si è allineata, come si ricava dalle parole di Lucio De Giovanni che, nella sua recente ed importante monografia sulla realtà giuridica dell’età tardoantica, ha sostenuto che “le costituzioni emanate in una pars Imperii, pur essendo formalmente intestate a tutti gli Augusti regnanti, non valevano meccanicamente anche nell’altra pars”[9].
Al contrario, nell’Introduzione al volume sui Valentiniani, premessa la considerazione che il problema dovesse essere affrontato in relazione ai differenti momenti storici e alle specifiche espressioni dell’attività legislativa, in intima connessione con le differenti modalità di assetto del potere, avevo inclinato, relativamente al dodicennio di comune governo degli imperatori Valentiniano e Valente, a favore di una supremazia, anche a livello normativo, del fratello maggiore, il quale, nonostante la formale divisione dell’Impero e dei suoi apparati burocratico-legislativi, aveva continuato a rivestire un ruolo preponderante nell’azione di governo, la cui influenza aveva consentito di imprimere un’impronta unitaria a molti aspetti dell’attività normativa: una visione che confinava Valente, particolarmente nei primi anni di governo, a figura marginale e limitata, sotto il profilo dell’impegno nell’attività normativa, anche in considerazione dei gravosi impegni militari legati alla campagna militare sul Danubio[10].
- – Con il presente contributo, intendo tornare sul tema dell’unità o della separazione legislativa nella realtà tardoantica, con particolare riferimento alla correggenza di Valentiniano e Valente.
Non è inutile ribadire, anzitutto e in linea generale, che il problema, lungi dal presentarsi in termini univoci, si pone con differenti modalità nei diversi momenti storici dello svolgimento dell’attività normativa e nei singoli settori della disciplina positiva[11], nel quadro di una realtà istituzionale che si adatta alle caratteristiche e alle esigenze connesse al vario articolarsi dell’assetto del potere[12].
Sotto il profilo della struttura costituzionale dell’Impero, merita anzitutto di essere ricordata l’opinione di coloro che hanno individuato, nella politica di Valentiniano, una generale volontà unitaria diretta ad evitare uno smembramento dell’Impero in due tronconi: sia il Mommsen [13] che la Nagl [14], infatti, pur consapevoli dell’esistenza di legislazioni differenti ed autonome sotto il profilo amministrativo e militare, ritenevano che sintomi significativi di una tendenza unitaria potessero essere rappresentati dalla titolatura collegiale, presente in ogni decreto, epistola o iscrizione, nonchè dalla adozione del solido come moneta d’oro in entrambe le parti dell’Impero. Del pari, a favore della unità costituzionale dell’Impero, almeno a livello burocratico, si schierava anche il De Dominicis, che individua nella ritrasmissione delle costituzioni, ad opera dei destinatari delle medesime, nelle località dell’altra pars Imperii, la prova di una comunicazione legislativa tra Oriente ed Occidente [15].
In relazione all’assetto burocratico e amministrativo del regno nel dodicennio di correggenza ed ai rapporti tra i due Augusti, informazioni preziose si ricavano dall’esame delle fonti letterarie coeve e, in particolare, da Ammiano Marcellino, il cui racconto corrobora la posizione di supremazia di Valentiniano sul fratello Valente: quando Valentiniano, pressato dalla volontà dell’esercito e dalla magnitudo urgentium negotiorum [16], decide di associare alla porpora imperiale il fratello, lo fa con l’intento di averlo «participem quidem legitimum potestatis, sed in modum apparitoris morigerum» [17]. Lo storico esprime analogo ordine di idee sia narrando della spartizione dei comites fra Valente e Valentiniano – cuius arbitrio res gerebatur [18] – sia, più tardi, scrivendo della divisione del palatium, verificatasi ut potiori placuerat [19].
Anche le vicende della campagna di Valente contro i Goti offrono l’occasione di ribadire che «Valens enim ut consulto placuerat fratri, cuius regebatur arbitrio, arma concussit in Gothos» [20] e di confermare che ogni iniziativa di carattere militare, comprese quelle relative alla pars Orientis, proveniva, in ultima analisi, da Valentiniano.
Un’altra serie di indicazioni in ordine alla superiorità di Valentiniano si ricava dalle vicende riguardanti l’elevazione alla porpora imperiale del giovane Graziano, la cui designazione risulta essere il frutto della iniziativa del solo Valentiniano, il quale, nel presentare all’esercito il proprio successore come compartecipe del potere imperiale – «ut patris patruique collega» [21] –, mostra di effettuare una scelta, a garanzia della stabilità dinastica, in grado di vincolare anche Valente e la pars Orientis [22].
Il ruolo di Valentiniano, cui paiono affidate le sorti dell’Impero, emerge, del resto, anche dall’esame di altre vicende risalenti al medesimo periodo. Si consideri, a titolo esemplificativo, la linea di condotta assunta dall’imperatore in seguito all’usurpazione di Procopio: Valentiniano, pur volendo accorrere in aiuto del fratello per fronteggiare la crisi scoppiata in Oriente, tanto grave da coinvolgere tutto l’Impero[23], si trova invece costretto ad occuparsi della campagna contro gli Alamanni che minacciavano l’Occidente [24] e che rappresentavano un pericolo «totius orbis Romani» [25], mostrando così di intendere l’Impero come un’unica realtà: in seguito, dopo la sconfitta e l’uccisione di Procopio, la testa dell’usurpatore – segno tangibile della vittoria – venne inviata a Parigi a Valentiniano [26] che, evidentemente, rappresentava il potere legittimo.
I dati esaminati e le osservazioni svolte, sebbene preliminari e frammentarie, se lette nel loro complesso, inducono ad identificare in Valentiniano il cardine dell’azione politico-militare di tutto l’Impero, poiché da lui appaiono dipendere le sorti anche della parte governata da Valente.
Né, a ben vedere, una vera e propria spartizione, risulta dalle fonti in relazione all’apparato burocratico[27], che, al contrario, secondo Ammiano, si sarebbe attuata a Naisso (partiti sunt comites: Amm. 26,5,1), prima della definitiva separazione dei due fratelli (diviso palatio)[28]: innanzitutto, perché di spartizione sembra potersi parlare non già per l’intera categoria dei funzionari imperiali, ma solo per i comites rei militaris [29]; in secondo luogo, perché mancano sicure indicazioni riguardo ad una duplicazione, nelle due partes Imperii, delle altre cariche dell’apparato burocratico e governativo.
La carica di magister officiorum risulta, infatti, ricoperta dapprima da Ursazio [30] – che appartiene al periodo di governo comune dei due Augusti –, successivamente da Remigio [31] – funzionario della pars Occidentis, in quanto destinatario della c. 2 CTh. 7, 8 emanata a Treviri (Amm. 29, 9, 2; 28, 6, 8; 29, 5, 2) –, infine da Leone [32], in carica negli anni 371-372, come attesta lo stesso Ammiano (30, 2, 10). Ma non vi è traccia di alcun funzionario omologo per la pars Orientis, ad eccezione di Eufrasio che – come riferisce lo stesso Ammiano [33], senza precisare, però, se in sostituzione di un precedente titolare indicato da Valente – sarebbe stato nominato magister officiorum da Procopio[34].
Quanto al comes sacrarum largitionum, è possibile ricostruire la successione dei titolari dell’ufficio con maggiore precisione: Fiorenzo rivestiva la carica nel 364 [35], Germaniano dal 366 al 368 [36], Archelao nel 369 [37], Felice nel 370 [38], Filemazio negli anni 371 e 372 [39] e, infine, Taziano nel 374 [40]. Ma i dubbi di natura paleografica che i provvedimenti pongono impediscono di individuare con certezza in quale pars Imperii tali funzionari operassero [41]. Sebbene, infatti, da una iscrizione greca risulti che Taziano abbia svolto tutta la sua carriera in Oriente [42] e sebbene dall’esame di CTh. 6, 9, 1 [43] emerga chiaramente l’esistenza, almeno per l’anno 372, di due separati comites sacrarum largitionum, non possiamo ricavare altri elementi dalla circostanza che in Oriente fossero emanate o pubblicate le costituzioni indirizzate ad Archelao, a Felice e a Taziano. Come è noto, infatti, tale criterio non appare affatto decisivo, solo considerando che la pubblicazione di un provvedimento in Oriente non implica necessariamente la provenienza orientale e, tanto meno, la sua destinazione ad un funzionario della pars Orientis. Resta, al contrario, un dato incontestabile: anche a voler ammettere la duplicazione di tale ufficio nelle due parti dell’Impero, emergono gravissime lacune nella successione dei comites.
La ricostruzione della carriera e dell’ufficio del quaestori sacri palatii nelle due partes Imperii offre all’interprete rilevanti spunti di riflessioni, in virtù all’importanza che il funzionario rivestiva nell’ambito dell’attività normativa: se, infatti, in Occidente Vivenzio risulta in carica nel 364 [44] Euprassio negli anni fra il 367 e il 370 [45], più tardi Claudio Antonio [46] e, infine, nel 375, Ausonio [47], assai dubbia è l’esistenza di un quaestor sacri palatii in Oriente, poiché Aburgio è ricordato esclusivamente quale uomo influente a corte, senza alcuna indicazione della copertura di un ruolo ufficiale[48].
- – Sotto il profilo della produzione normativa, va immediatamente evidenziato un dato impressionante per la sua rilevanza statistica, rappresentato dal divario esistente tra il numero dei provvedimenti che, per quanto risulta dalle fonti, appaiono di provenienza occidentale e quelli di più o meno sicura provenienza orientale[49].
Fra le oltre quattrocento costituzioni contenute nel Codice Teodosiano – cui vanno aggiunte quelle raccolte nella Consultatio veteris cuiusdam iurisconsulti, nei Fragmenta Vaticana e nella Collectio Avellana – solo poco più di settanta, sia per il luogo di emanazione in cui risultano emanate, sia per il destinatario a cui risultano indirizzate, possono ricondursi, seppure in via prima approssimazione, alla sfera orientale.
Ma vi è di più: il già ridotto numero delle leges che risultano emanate in Oriente è destinato a diminuire ulteriormente, non solo perché non tutte le attribuzioni alla pars Orientis sono sicure e affidabili, ma soprattutto perché molti dei provvedimenti attribuiti alla cancelleria imperiale di Valente non hanno il valore di norma di carattere generale -valore, per intendersi, di edictales generalesque constitutiones, che secondo il programma del 435 avrebbe dovuto caratterizzare tutte le leges da ricomprendere nel Codice Teodosiano- bensì consistono in interventi di secondaria importanza, con valore limitato al ristretto ambito locale e con efficacia territorialmente circoscritta, dettati da esigenze contingenti ed aventi la natura più di atti amministrativi, che di provvedimenti normativi in senso stretto[50].
Si tratta, a tutta prima, di un dato davvero sorprendente, perché non è plausibile ipotizzare che la cancelleria della parte orientale dell’Impero presentasse un così ridotto impegno normativo, pur di fronte alla tradizionale volontà di incidere nella sfera economica e sociale, tipica dell’Oriente ellenistico.
Per rendersi conto di ciò, sarà sufficiente una breve esemplificazione: alcuni provvedimenti riguardano esclusivamente la città di Costantinopoli, come quello, pure solennemente indirizzato al Senato, che determina l’assegnazione di cavalli ai pretori per la loro editio (CTh. 6, 4, 19: Satos de Frygiae gregibus equos quattuor subiugandos quadrigis, hoc est simul octo, duobus maximarum editionum praetoribus dari sancimus. Dat. id. April. Antiochiae Modesto ed Arintheo conss.); altre costituzioni, seppure di portata più ampia, appaiono anch’esse territorialmente circorscritte, come quella che vieta l’abusivo commercio delle species annonariae distribuite alla popolazione (CTh. 14,17,7: Vendendi de reliquo popularibus annonam consuetudinem derogamus, ut huiusmodi celebrata venditio omni careat firmitate. Verum si quis urbe abeundum esse crediderit, panes ceteraque quae percipit in horreorum conditis reserventur, poscentibus iuxta legem eiusdem ordinis hominibus deferenda. Quin lege proposita etiam quae fuerint fortasse distractae, ad originem propriam iusque revocamus, si quidem iustum est, ut in perpetuum suum quisque detineat et per succedaneas vices proprius ordo teneat, ut palatinus palatini, militis vero militaris, popularem annonam popularis exposcat nec alter alterius sibi expetens diversorum ordinum valeat miscere rationem) oppure la disposizione che conferma la concessione del ius italicum alla città (CTh. 14, 13, 1: Italici iuris auxilium arbitra aequitate renovamus. Concessi igitur gratia beneficii publicis actibus intimetur et incisa tabulis debita sollemnitate permaneat).
Altri provvedimenti riguardano la domus imperiale, come quello che reprime le derivazioni abusive dell’acqua destinata al palazzo imperiale di Dafne (CTh. 15, 2, 2: Aquaeductus, qui Dafnensi palatio usum aquae praestat, quorundam aviditate tenuatur adpositis maioribus fistulis, quam ex imperiali largitate meruerunt. Consensu igitur omnium in tribus locis conceptacula reparentur et singulorum nomina modusque servandus tabulis adscribatur, et si ultra licitum aliquem usurpasse constiterit, per singulos obolos librae unius auri dispendiis ingravetur. Et si sacri tenore rescribti aliqui certum modum aquae meruisse noscetur, non prius eidem accipiendi potestas aliquatenus tribuatur, nisi adito rectore ex ipso conceptaculo quantitatem quam meruit possit adipsci) oppure quello relativo agli sgravi fiscali per i coloni della res privata (CTh. 10, 1, 11: Ut perspicue colonorum utilitatibus consulatur, decima indictione singulas tantum dependant centesimas, qui reditus domui nostrae debitos quodannis iuxta consuetudinem arcariis tradunt; ita tamen, ut singularum quoque centesimarum ratio semper evidens scientiae tuae digesta referatur; videlicet ut erogationibus cunctis aperta instructione patefactis reliquorum ratio ex centesima possit agnosci e CTh. 12, 6, 14: Singulas tantum dependant centesimas, qui reditus domui nostrae debitos arcariis quotannis iuxta consuetudinem tradunt, ita tamen, ut earum quoque singularum centesimarum ratio semper evidens scientiae tuae digesta referatur, ut erogationibus cunctis aperta instructione patefactis reliquorum ratio ex eadem centesima possit agnosci) o, infine, quello che stabilisce l’esenzione della domus nostra dall’exhibitio tironum ordinata nelle singole province (CTh. 7, 13, 2: Domum nostram ad exhibenda tironum corpora per eas provincias, a quibus corpora flagitantur, nolumus perurgueri: ceterum sinimus conveniri, in quibus pretia postulantur, ita ut ex certa praebitione redituum vicem concessionis istius repensemus).
Hanno, pure carattere strettamente locale il provvedimento che conferma isolita privilegia concessi da Diocleziano ai cohortales della Siria (CTh. 8, 4, 11: Solita cohortalibus Syriae privilegia, quae a divo Diocletiano porrecta sunt adque concessa, nos quoque porreximus ac iubemus eos non ad sollicitudinem bastagae, non ad functionem naviculariam devocandos, non invitos curialibus coetibus adscribendos, verum peracto labore militiae, pastus primipili competenti sedulitate functione transacta praerogativam his recusationis offerimus); quello che disciplina la sorte dei figli dei primipilari dell’Osroene (CTh. 12, 1, 79: Quicumque per Osdroënam primipilarium maiore laetatur numero filiorum, unum loco suo veluti hereditario iure substituat, alterum pro amore patriae Edessenae curiae tradat obsequiis, ceteris quam voluerit militiam provisurus. Sin autem duos tantum procreaverit, cohorti satisfacere cogatur et curiae. Quod si unum procreaverit, eundem ordini patriae restituat, nullo contra hanc formam beneficio valituro. Damus sane licentiam tam patribus eorum quam ipsis, qui huius legis auctoritate civitatum obsequio adgregantur, ut, si quos curiales patrocinio principalium invenerint excusari, in medium proferant, ut et ipsi similibus officiis deputati pareant imperatis); la disposizione che attribuisce al prefetto del pretorio la competenza per l’impiego della classis Seleucena (CTh. 10, 23, 1: Classem Seleucenam aliasque universas ad officium, quod magnitudini tuae obsequitur, volumus pertinere, ut classicorum numerus ex incensitis vel adcrescentibus conpleatur et Seleucena ad auxilium purgandi Orontis aliasque necessitates Orientis comiti deputetur) o, ancora, il provvedimento che ordina il completamento del corpus naviculariorum delle province orientali[51], demandando al prefetto del pretorio di determinarne il numero, tam intra Orientem quam intra Aegypticas partes (CTh. 13, 5, 14: Iuxta eum tenorem, quem a divo principe Constantio datum Musoniani clarissimae memoriae praefecti praetorio executione constat esse roboratum, intra Orientales provincias naviculariorum corpus impleri iubemus, ea videlicet statutorum ratione servata, ut per eminentiam tuam numerus naviculariorum designetur tam intra Orientem quam intra Aegyptiacas partes, qui praesenti possit indictione conpleri, excusandis videlicet pro denum milium modiorum luitione quinquagenis numero iugis in annonaria praestatione dumtaxat, ita ut vestes adque equi ceteraeque canonicae species ab indictione eadem non negentur. Ad conficienda vero competentia navigia a provincialibus cunctis primitus materiae postulentur, reparationem deinceps per singulos annos isdem naviculariis ex concessa iugorum inmunitate curaturis. Eorundem autem naviculariorum ex fide nobis nomina loca substantiae nuntientur brevibus duplici ratione conscribtis, quot videlicet de veteribus quotque sint et quales recenti adsociati delectu. His autem naviculariis, qui fuerint instituti, servari privilegia Africana decernimus, ita ut facultatibus propriis per succedaneas hereditatum vices perpetuo sint obnoxii functioni. Et sunt corpora, de quibus navicularii ex indictione quinta decima constituendi sunt iuxta sacram iussionem ita: ex administratoribus ceterisque honorariis viris praeter eos, qui intra palatium sacrum versati sunt, de coetibus curialibus et de veteribus idoneis naviculariis et de ordine primipilario. Et de senatoria dignitate ut, si qui voluerint freti facultatibus, consortio naviculariorum congregentur).
Analogo ambito territorialmente limitato alla pars Orientis hanno le costituzioni contenute in CTh. 12, 1, 63 e in CTh. 12,18,1, due disposizioni prive di autonomo valore normativo, finalizzate ad impedire la fuga dei curiali verso deserta loca[52]: la prima, infatti, ha lo scopo di impartire semplici istruzioni al comes Orientis affinchè i fuggiaschi siano ricondotti ad munia patriarum subeunda (CTh. 12, 1, 63: Quidam ignaviae sectatores desertis civitatum muneribus captant solitudines ac secreta et specie religionis cum coetibus monazonton congregantur. Hos igitur atque huiusmodi – intra Aegyptum – deprehensos – per comitem Orientis – erui e latebris consulta praeceptione – mandavimus – atque ad munia patriarum subeunda revocari aut pro tenore nostrae sanctionis familiarium rerum carere inlecebris, quas per eos censuimus vindicandas, qui publicarum essent subituri munera functionum); la seconda contiene l’invito al rispetto delle frequentes leges che vietano l’esodo dalle città (CTh. 12, 18, 1: Iudiciario omnes vigore constringes, ne vacuatis urbibus ad agros magis, quod frequenti lege prohibetur, larem curiales transferant familiarem).
Parimenti relativa alla sfera orientale è la costituzione contenuta in CTh. 13, 1, 9, indirizzata al consolare della Fenicia, con uno specifico riferimento ai conchylioleguli di quella regione, probabilmente quale risposta ad un dubbio dello stesso funzionario sui privilegi da accordare in materia di conlatio lustralis (CTh. 13, 1, 9: Si quis navicularius naufragium sustinuisse adfirmat, provinciae iudicem, eius videlicet, in qua res agitur, adire festinet ac probet aput eum testibus eventum relatioque ad sublimissimam referatur praefecturam, ita ut intra anni spatium veritate relata remedium ex indulgentia consequatur. Quod si per huiusmodi neglegentiam praefinitum anni spatium fortasse claudatur, supervacuas serasque actiones emenso anno placuit non admitti).
Ancora risultano, senza dubbio, meri atti di natura amministrativa[53], limitati alle specifiche esigenze orientali, le costituzioni contenute in CTh. 10,20,6 e 8, finalizzate a vietare lo storno di mano d’opera impiegata in aziende tessili statali da parte di imprese private (CTh. 10, 20, 6: Opifices vesti linteae contexendae in usum erogationum nostrarum operam dantes sollicitatos a plurimis esse cognovimus. Igitur et eos, penes quos sunt, et textores ipsos terna auri pondo thesaurorum commodis inferre praecipimus; quin etiam opifices ipsos textrinis linteae vestis vindicari conveniet. Quod si aliquis detegetur in eadem insolentia permanere et iugiter opificem detinuerit, non iam multam, ut praeterito tempore iusseramus, sed proscribtionem subire debebit; CTh. 10, 20, 8: Intra kalendarum Augustarum diem qui linteones retentare dicuntur, antiquis eos condicionibus reddant aut se pro ingentis audaciae contumacia quinis auri libris per singulos eorum poenae nomine sciant esse feriendos: non minore circa eos etiam multae comminatione proposita, qui obnoxios Scytopolitanos linyfos publico canoni in posterum scuscipere conabuntur); la costituzione di apertura del titolo De vestibus holoveris et auratis del Teodosiano (10,21), che proibisce che si producano, per uso privato, auratas ac sericas paragaudas auro intextas tam viriles quam muliebres: Auratas ac sericas paragaudas auro intextas tam viriles quam muliebres privatis usibus contexere conficereque prohibemus et in gynaeceis tantum nostris fieri praecipimus. E, ancora, in apertura del titolo De fabricensibus (CTh. 10,22), il provvedimento con cui si disciplina, in modo minuzioso, la produzione di elmi dorati e argentati tam aput Antiochiam quam aput Constantinopolim:Cum senae per tricenos dies ex aere tam aput Antiochiam quam aput Constantinop(olim) a singulis barbaricariis cassides, sed et bucculae tegerentur, octo vero aput Antiochiam cassidas totidemque bucculas per dies triginta et tegerent argento et deaurarent, aput Constantinop(olim) autem tres solas, statuimus, ut Constantinopoli quoque non octonas singuli cassidas per tricenos dies, sed senas sic pari numero buccularum auro argentoque condecorent.
Sono, infine, disposizioni meramente esecutive o interpretative di precedenti disposizioni, soprattutto in materia finanziaria, quelle che fissano la somma di aderazione per la conlatio equorum (CTh. 11, 17, 1: Viceni et terni solidi per singulos equos, qui a colonis atque ab obnoxiis exiguntur, ipsi magis iugiter, quam fraude procuratorum nostrorum equi, offerantur); che disciplinano la riscossione del canon vestis (CTh. 7, 6, 2: Omnem canonem vestium ex kalendis Sept. ad kal. April. nostris largitionibus tradi praecipimus, proposita rectori provinciae vel eius officio condemnationis, quae tuae iustitiae videbitur, poena) o, ancora, le costituzioni che stabiliscono tempi e modalità di vettovagliamento per i militari di frontiera, cc. 14 e 15 CTh. 7,4 (CTh. 7, 4, 14: Riparienses milites mensibus novem in ipsa specie consequantur annonam, pro tribus pretia percipiant: CTh. 7, 4, 15: Sicut fieri per omnes limites salubri prospectione praecipimus, species annonarias a vicinioribus limiti provincialibus ordinabis ad castra conferri. Et in vicinioribus castris constituti milites duas alimoniarum partes ibidem de conditis sumant nec amplius quam tertiam partem ipsi vehere cogantur).
- – Il contenuto di tali provvedimenti mette indubbiamente in discussione l’dea di un’autonoma legislazione della cancelleria orientale e corrobora l’ipotesi, certo congetturale, ma bene ancorata alle fonti, che all’attività legislativa della cancelleria di Valente vadano in prevalenza ricondotti interventi non soltanto con efficacia territoriale espressamente circoscritta alla pars Orientis, bensì anche aventi natura secondaria e marginale, in qualche caso, addirittura con valenza meramente interpretativa e anche solo esecutiva di precedenti disposizioni: circostanza che suggerisce, pertanto, estrema prudenza nel valutare il periodo di comune governo di Valentiniano e Valente come l’espressione, per usare un’efficace espressione di Gaudemet, di un netto partage législatif dell’Impero.
Come ho accennato, su tali ipotesi ricostruttive soprattutto si appuntarono le critiche di de Bonfils, il quale, dopo avere chiarito la ferma contrarietà ad una simile ricostruzione, esponeva con nettezza la propria opposta posizione: “Si accetta senza dubbio il principio che ogni imperatore del IV secolo provvedesse a legiferare in modo autonomo rispetto al collega, o ai suoi colleghi. Anche in età di Valentiniano e Valente si richiedeva un atto formale perché una legge avesse valore nell’altra parte dell’Impero. Dal 364 si determina una effettiva divisione tra le due partes Imperii” [54].
A sostegno di tale affermazione, l’illustre autore richiamava, anzitutto, la costituzione conservata in CTh. 10,19,5, destinata a coordinare la ricerca dei metallari fuggitivi, qui incolunt latebras et quos domus nostrae secreta retinent, da cui si ricaverebbe che l’iniziativa normativa sia partita dall’Oriente, poichè la successiva c. 7 h.t., espressamente richiamata da Valentiniano, estendeva un’analoga disciplina all’Illirico e alla Macedonia:
CTh. 10,19,5: Imppp. Valentinianus, Valens et Gratianus AAA. Fortunatiano comiti rerum privatarum. Nullam partem Romani orbis credidimus relinquenda, ex qua non metallarii, qui incolunt latebras, producantur, et quos domus nostrae secreta retinent. Et in comprehendis eis investigatores eorum rectores congruis auxiliis prosequantur. Dat. prid. Kal. Mai. Antiochiae Valentiniano NB. P. et Victore conss.
CTh. 10,19,7: Imppp. Valentinianus, Valens et Gratinaus AAA. ad Probum praefectum praetorio. Quemadmodum dominus noster Valens per omnem Orientem eos, qui ibidem auri metallum vago errore sectantur, a possessoribus cunctis iussit arceri, ita sinceritas tua universos per Illyricum et dioecesim Macedonicam provinciales edicto conveniat, ut nem quemquam Thracem ultra in possessione propria putet esse celandum, sed ut singulos potius regredi ad solum genitale conpellant, quos inde venisse cognoscunt. Alioquin gravis in eum aniimadversio proferetur, qui latebram huiusmodi hominibus post haec interdicta praebuerit. Dat. xiiii kal. April. Treviris Valentiniano et Valente AA. conss.
Al riguardo, si impongono, però, alcune considerazioni: anzitutto, va detto non soltanto che si tratta dell’unico caso in cui sappiamo con certezza che l’iniziativa di una disposizione normativa sia partita da Valente, ma soprattutto occorre sottolineare che, anche in questo caso, si tratta di una disposizione di natura amministrativa, resa verosimilmente necessaria da situazioni particolari ad alcune zone circoscritte dell’Impero, come si ricava da un’estensione territorialmente limitata dell’efficacia del provvedimento da parte di Valentiniano ai soli territori dell’Illirico e della Macedonia, non già a tutto l’Occidente.
Anche gli altri esempi, elencati dal recensore lasciano ampio margine a dubbi sull’effettiva esistenza di un partage législatif nella seconda metà del IV secolo: fra questi, un ruolo centrale occupa la costituzione di apertura del titolo 8,11 del Teodosiano, Ne quid publicae laetitiae nuntii ex describtione vel ab invitis accipiant:
CTh. 8,11,1: Impp.Valentinianus et Valens AA. ad Eugrammimum. Cum anni exordia certis inchoanda consulibus nuntiantur, a tenuioribus, sportulae specie, conlationis necessitas separetur, ne scilicet discribtione facta pro capitatione aut iugatione quicquam isdem veluti legitimi muneris exprimatur. Iubemus tamen, ut viri per provincias emerito iam honore pollentes, praeterea curiales, quos his gradus honore et in conlationibus honestate functionis convenit esse finitimos, arbitratu suo tribuant, quantm putaverint largiendum: porro tenuioribus ab hac sorte iniuriosae necessitatis alienis, quod quidem interdicti severitate fieri vetamus in posterum, ut rectores provinciarum vicenis auri lib(ris), porro officia quadragenis constituamus esse multanda, si quicquam pauperes hac adscribtione praebuerint vel his extorqueri quicquam passi fuerint aut aeque, quos contra vetitum fecisse cognoverint, taciturnitate alicuius dissimulationis aboleverint. Dat. xvii kal. Ian. Constantinopoli Divo Ioviano et Varroniano conss.
Si tratta, a dire del de Bonfils, di un’importante conferma del fatto che, dopo un periodo di regno congiunto e in seguito alla divisione dell’esercito e della corte, “ognuno prese la propria strada, il primo per l’Italia, mentre Valente tornò a Costantinopoli”, con la conseguenza che “l’attività legislativa di Valentiniano continua senza interruzione alcuna, quella di Valente…è sicuramente attestata a Costantinopoli dal dicembre” [55].
Il tema, in verità, merita, a mio parere, ulteriori approfondimenti, per i legami che il testo presenta con altri provvedimenti coevi: la costituzione, effettivamente emanata da Costantinopoli il 16 dicembre 364, vieta l’esazione di sportulae a carico dei tenuiores in occasione dell’annuncio dell’entrata in carica dei consoli, ammettendo che i personaggi influenti delle province ed i curiali possano arbitratu suo tribuere, quantum putaverint largiendum. La successiva costituzione dello stesso titolo, emanata a Milano il giorno 11 gennaio 365, nella forma di un solenne editto ai provinciali, ripete ed amplifica lo stesso divieto (CTh. 8,11,2: Si quando victoriae, si quando laetitiae publicae nuntiantur vel novorum consulum nomina perferuntur, conlationi nullus locus, nulla sit licentia; nihil quisquam exigat, nihil audeat postulare), mentre ancora il 13 febbraio successivo, sempre da Milano, la norma veniva ripetuta in un testo indirizzato a Mamertino (c. 3 h.t.):
CTh. 8,11,3: Impp. Valentinianus, Valens et Gratianus AAA. ad Mamertinum praefectum praeotorio. Si quando faustorum nuntiorum gaudia provincialibus intimantur quotiensque qui per tarrarum orbe disseminatur, seu militum illustres vicitariae seu strages hostium aut nostri triumphi perferuntur vel hi quos geremus aut deferimus consulatus, nulli publica distributione et arbitrio iudicis munera, quae vocant sportulas, deputentur. Ceterum si quis iudicum vim decretorum nostrorum violaverit, eius rei, quae viritim distributa fuerit et coacta, duplicem poenam subibit aut officium quoque, quod ei paruerit, in quattuor partibus multa exaggerata constringat. Honorati vero et urbibus suis eminentes ex arbitrio suo, quantum mens tulerit, largiantur. Missa a praefecto praetorio die id. Feb. Med(iolano) Valentiniano NB. P. et Victore V.C. conss.
Il testo inviato il 13 febbraio al prefetto del pretorio Mamertino costituisce, a ben vedere, la semplice comunicazione ufficiale del provvedimento solennemente emanato un mese prima (missa a praefecto praetorio), con lo scopo di portare il suo contenuto a conoscenza dei diversi funzionari, affinché ne tenessero debito conto e ne curassero l’applicazione nella rispettiva sfera di competenza.
Al contrario, la costituzione emanata un mese prima di quella occidentale non si lascia costringere nello stesso schema interpretativo: essa, infatti, ha un contenuto più ristretto, dal momento che considera esclusivamente le sportulae pretese per l’entrata in carica dei nuovi consoli e non per le altre publicae laetitiae, cui si riferisce, invece, la costituzione del gennaio 365; inoltre, differisce da questa anche nella sanzione, che è stabilita nella somma fissa di venti libre d’oro per il governatore provinciale e di quaranta per il suo officium, mentre la c. 2 la prevede (e la c. 3 ripete) rispettivamente nel duplum e nel quadruplum della somma illecitamente pretesa.
Di fronte a tali aporie, la soluzione più verosimile suggerisce di ipotizzare, dapprima, l’emanazione di una norma, di portata più limitata, seguita -un mese più tardi- da quella più ampia e solenne: ma non si può dire con certezza se la prima sia il frutto di un’iniziativa autonoma di Valente, recepita ed ampliata poco più tardi dal fratello nella pars Occidentis o l’applicazione in Oriente di un indirizzo normativo, come dimostrano le cc. 2 e 3 CTh. 8,11, fortemente voluto da Valentiniano. Del resto, la c. 1 è indirizzata ad uno sconosciuto Eugrammimo, il cui nome non offre alcuna notizia circa la provenienza e la destinazione del provvedimento e lascia aperto l’adito sia all’ipotesi che l’iniziativa sia stata presa, in questo caso isolato, da Valente, sia a quella, più probabile nel contesto generale, che si sia trattato di un primo passo, comune a tutto l’Impero, del quale è rimasta traccia nel Codice Teodosiano, come sempre casualmente, attraverso un testo circolante in Oriente, diretto allo sconosciuto funzionario Eugrammimo.
- – Un altro settore nel quale de Bonfils intravede, nei primi mesi governo comune, una divergenza fra legislazione occidentale ed orientale è quello concernente le norme sull’accesso dei curiali al Senato[56], segnatamente le costituzioni del titolo De decurionibus, emanate dal 364: fra queste, la c. 57 CTh. 12,1 del 7 maggio 364, che aveva disposto come nessuno potesse accedere all’ordo senatorius prima di avere adempiuto a tutti i munera municipalia e che fosse cancellato dall’albo senatorio, fino a che non li avesse adempiuti, chi vi fosse pervenuto in violazione della legge:
Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Mamertinum praefectum praetorio. Nemo ad ordinem senatorium ante functionem pmnium munerum municipalium senator accedat. Cum autem universis transactis patriae stipendia fuerit emensus, tum eum ita ordinis senatorii complexus excipiet, ut reposcentium civium flagitatio non fatiget. Iiautem, qui legem nostram neglexerint, exempti senatorio albo, quoad municipalibus necessitatibus satisfaciant, non capiant cassi honoris argumentum. Nam qui cupiunt incrementum honoris adipisci, perfunctos se esse muneribus actis debent ordinarii iudicis adprobare, in locum suum scilicet filiis subrogatis, si eos successio familiae ad exsequendam universam legis nostrae mentem docebitur adiuvare. Dat. non. Mai. Divo Iovaino et Varroniano conss.
La successiva c. 58, che secondo il testo del Teodosiano sarebbe stata emanata solo sei giorni dopo la prima, ma che, in realtà, è da ritenere parte dello stesso complesso normativo, mentre confermava l’inefficacia (fructu careat) della nomina del curiale a senatore ante completa munera patriae, specificava che una volta conseguita la dignità senatoria, questa spettasse anche ai figli nati successivamente, i quali non sarebbero stati muneri decurionum obnoxii:
Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Mamertinum praefectum praetorio. Qui curiali ortus familia ante completa munera patriae senator factus est, fructucareat, quousque muneribus absolvatur: quibus expletis si velit sumptuosum ordinem senatorium vitare, renuntiet dignitati; si permanserit, liberos quos post ediderit habeat senatores praetores iam quaestoresque, non muneri decurionum obnoxius. Militia vero nullus gradus, nulla diuturnitas defendet, eum, qui curialem contrahens originem repetetur. Sed et qui nexum curialem nascendi opportunitate vitaverit, nisi cum duodeviginti annos expleverit militiam exerceat, per quam parentibus eius immunitatis quesita est, securus esse non poterit propter sortem originis. Dat. iii id. Mai. Hadrianopooli Divo Ioviano et Varroniano conss.
La c. 69 deroga, in parte, a queste disposizioni, ammettendo che la dignità senatoria venga conservata dai curiali che l’abbiano ottenuta praematura cupiditate, ma stabilendo che essi siano tuttavia tenuti ad assolvere gli obblighi quos patriae nondum reddiderunt e che questi siano estesi ai figli quos ante senatoriam dignitatem quisque suscepit.
Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Auxonium vicarium dioeceseos Asianae. Universi, qui prematura cupiditate senatorios coetus honoribus patriae praetulisse noscuntur, habeant quidem incolumen statum senatoriae dignitatis, verum fungatur his honoribus, quos patriae nondum reddiderunt. Quin etiam liberos suos indicent, quos ante senatoriam dignitatem quisque suscepit. Dat. prid. Non. Oct. Valentiniano et Valente conss.
Anche a questo proposito, va detto subito come non è per nulla sicuro che le due costituzioni esprimano un diverso indirizzo normativo e che la seconda non contenga, piuttosto, un’attenuazione generale del regime troppo rigoroso adottato l’anno precedente.
Anzitutto, non vi è traccia sicura che le costituzioni 57 e 58 siano da considerare limitate, nella loro sfera di applicazione, all’Occidente. Esse (o essa) sono state emanate nel maggio 364, quando i due fratelli si trovavano insieme ad Adrianopoli e governavano ancora congiuntamente.
Per le costituzioni di questo periodo non v’è ragione di supporre distinzioni e limitazioni di ambiti territoriali: né in questo, come in altri casi, è lecito desumere una limitazione della destinazione del provvedimento dal fatto che esso appaia indirizzato a Mamertino, prefetto del pretorio per l’Italia, l’Africa e l’Illirico. Se ciò fosse probante, anche in questo caso, come vedremo oltre per CTh. 12,6,7, si dovrebbe giungere a considerare esclusa dalla sfera di applicazione della norma anche la prefettura delle Gallie e, dunque, buona parte dell’Occidente. Ma, in realtà, l’indicazione del destinatario nei testi del Codice Teodosiano non prova, o per lo meno non prova sempre, che la norma fosse destinata ad un ambito territoriale delimitato. Nella specie, a mio giudizio, i compilatori possono avere utilizzato un esemplare della costituzione proveniente dall’archivio della prefettura d’Italia, Africa ed Illirico o, comunque, recante la destinazione a Mamertino. Ma non è detto che la costituzione non fosse indirizzata e diramata anche agli altri prefetti del pretorio: anzi, considerando che il suo contenuto poteva riguardare la formazione non solo del Senato di Roma, ma anche di quello di Costantinopoli, e riguardava, soprattutto, i curiali di tutto l’Impero, è fondato supporre che la norma fosse destinata ad un’applicazione generale e fosse comunicata a tutti i supremi responsabili delle grandi circoscrizioni amministrative, quali erano ormai le prefetture del pretorio. Si potrebbe anzi supporre, sempre sottolineando l’interesse che il provvedimento presentava per l’ordine senatorio, che esso fosse indirizzato proprio al Senato, ma che i compilatori teodosiani disponessero solo dell’esemplare diramato al prefetto del pretorio, e che di questo, perciò, si siano serviti[57].
In secondo luogo, e per analoghe considerazioni, non si può affermare con sicurezza che la c. 69 fosse limitata all’Oriente e frutto di un indirizzo normativo diverso da quello occidentale[58].
Il testo del Codice Teodosiano appare diretto al vicario della diocesi Asiana, Auxonio, che sarà più tardi prefetto del pretorio d’Oriente. Ma ancora una volta va rilevato che questo indirizzo è puramente accidentale, dipendente dall’esemplare di cui i compilatori hanno potuto disporre: data la natura del provvedimento, non è pensabile che esso fosse destinato alla sola diocesi d’Asia, per quanto importante essa fosse. Potrebbe, anche in questo caso, essere stato indirizzato al Senato, della cui composizione trattava: ma certamente dovrà essere stato inviato al praefectus urbi, che della composizione e del funzionamento del Senato era responsabile, nonché al prefetto (o ai prefetti) del pretorio e non solo ad un funzionario subordinato e con una limitata competenza territoriale, quale il vicario di una diocesi. Dalla qualifica del destinatario, dunque, ancor meno che in altri casi, si è autorizzati a desumere la provenienza e la destinazione esclusivamente orientali della costituzione e a concludere che questa offra un esempio importante di divergenza tra la normativa occidentale e quella orientale. Potrebbe trattarsi, come s’è detto, di una modifica comune a tutto l’Impero della norma più rigorosa emanata l’anno precedente.
Non posso nascondere, in verità, che le successive costituzioni di provenienza occidentale (CTh. 12,1,70[59]e 12,1,73[60]), la seconda specialmente, sembrano indicare che in Occidente si insisteva sull’applicazione della norma più rigorosa, ma non è, però, del tutto chiara l’incidenza dei due provvedimenti: se essi, cioè, vogliano colpire la prematura ammissione al Senato dei curiali o la mancanza dei requisiti di carriera: «nullo administrationis honore fultus, nullis vel palatini laboris insignibus vel meritis iustis militiae», come si esprime la c. 73.
- – L’esame di ulteriori interventi normativi sembra confermare i rilievi svolti, offrendo all’interprete utili elementi per verificare l’efficacia generale delle costituzioni riconducibili alla cancelleria di Valentiniano e, in ultima analisi, per ipotizzare l’unità legislativa dell’Impero nel corso del IV secolo d.C.
Possiede, al riguardo, speciale importanza la costituzione contenuta in CTh. 9, 16, 7:
Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Secundum praefectum praetorio. Ne quis deinceps nocturnis temporibus aut nefarias preces aut magicos apparatus aut sacrificia funesta celebrare conetur. Detectum enim atque convictum conpetenti animadversione mactari perenni auctoritate censemus. Dat. v id. Septemb. Divo Ioviano et Varroniano conss.
Sebbene la costituzione con cui si vietano, nocturnis temporibus, pratiche magiche, sacrifici e preghiere del culto pagano [61], risulti indirizzata ad un funzionario d’Oriente, il prefetto del pretorio Secondo [62], essa viene espressamente attribuita a Valentiniano da Zosimo[63], che la indica successivamente abrogata dallo stesso imperatore in seguito alle rimostranze degli ambienti pagani presentategli da Pretestato, allora proconsole d’Acaia. Saremmo, dunque, di fronte ad un provvedimento che, formatosi in Occidente, sarebbe poi stato trasmesso anche alla pars Orientis e indirizzato ad un funzionario competente per quella parte dell’Impero [64].
Come detto, occorre anzitututto ribadire che la persona del destinatario, così come indicata nelle inscriptiones dei provvedimenti contenuti nel Codice Teodosiano, non sempre costituisce un indice sicuro dell’ambito territoriale di applicazione, poiché i compilatori possono avere usato esemplari destinati ad un singolo funzionario, senza che ciò debba escludere una destinazione più ampia. Nel caso specifico, la portata generale del provvedimento e le notizie ricavate dalle fonti letterarie inducono a ritenere che la costituzione dovesse avere efficacia in tutto l’Impero e fosse stata adottata d’intesa fra i due Augusti, o dal solo Valentiniano [65], il quale, fra l’altro, si mostra maggiormente sensibile ai problemi religiosi.
Un altro esempio significativo di comunicazione legislativa fra le due partes Imperii emerge dell’esame della c. 5 CTh. 12, 6:
CTh. 12, 6, 5: Impp. Valentinianvs et Valens AA. ad Secundvm praefectum praetorio. Perpenso prospeximus studio, ut susceptores et praepositi horreorum ex praesidali officio, qui per diversa officia militiae sacramenta gestarunt, congrua ratione crearentur. Sed quoniam praeses Ciliciae adseruit deesse ex his corporibus quibus possit haec sollicitudo committi, ne in praesens tempus lisci nostri seu publica emolumenta vaccillent, excellentia tua, ubi eos deesse perviderit, quos susceptores ac praepositos creari scitis prioribus iusseramus, vetustum morem consuetudinemque sectabitur, scilicet ut ex eo ordine constituantur, ex quo ante consueverant ordinari, modo ut ipse Ciliciae praeses et ceteri magnitudinis tuae litteris urgeantur, ut idoneos ex diversis officiis tota sagacitate vestigent eosque gerere praestitutam scitis nostrae mansuetudinis sollicitudinem faciant. Nam si qui per gratiam fuerint praetermissi, necesse habet exigere publica commoditas ultionem. Nec enim dubium est eos officiales, qui nunc diversis officiis obsecundant, plurimos praetermittere, quorum si qui in huiusmodi fuerint arte deprehensi, dabunt poenas, facultatibus traditis curiis, etiam capitis ac salutis. Dat. iiii non. Ivl. Caesarea Valentiniano et Valente AA. conss.
Il provvedimento, indirizzato anch’esso al prefetto del pretorio d’Oriente, Secondo, ed emanato a Cesarea [66], muove dal richiamo di una norma generale, con cui perpenso studio è stato disposto che i susceptores delle imposte ed i praepositi horreorum siano scelti tra i funzionari dell’officium praesidale, qui per diversa officia militiae sacramenta gestarunt. Ma poiché, si aggiunge, il praeses Ciliciae adseruit deesse ex his corporibus quibus possit haec sollicitudo committi, per evitare che la carenza di personale comprometta il gettito dei publica emolumenta, il prefetto del pretorio ubi eos deesse perviderit, quos susceptores ac praepositos creari scitis prioribus iusseramus è autorizzato a consentire che, seguendo il vetustum morem consuetudinemque, susceptores e praepositi continuino ad essere scelti eo ordine ex quo ante consueverant ordinari, invitando contestualmente il praeses Ciliciae e gli altri governatori ut idoneos ex diversis officiis tota sagacitate vestigent per indurli ad assumere il compito assegnato dalla precedente disposizione.
La norma in esame, occasionata da contingenti esigenze locali, presuppone una disposizione di carattere generale alla quale essa deroga temporaneamente, pur confermandone la validità.
La norma generale può identificarsi nella c. 7 dello stesso titolo del Teodosiano [67]:
CTh. 12, 6, 7, : Impp. Valentinianvs et Valens AA. ad Mamertinum praefectum praetorio. Ad susceptionem specierum veniant, qui ante omnia sciant se decuriones non esse. Ex corpore igitur diversorum officiorum quisquis idoneus repperitur tam moribus quam facultatibus, veluti matriculae per singulas provincias nomen suum adscribat, ut hac ordinatione dispositi annuas susceptiones peragant, ita ut nihil praeterea muneris pertimescant, atque expleta susceptione erogationibusque perfectis transacto illo officio cum aput iudicem fidele obsequium conprobarint, iudicii nostri digna praemia consequantur. Adiungi autem ad hoc corpus debent etiam illi, qui ex officiis singulis sint, hoc est ex tabulariis et numerariis similibusve officiis eorum officiorum, de quorum ordine hoc corpus constitui volumus. Quicumque vero ex his ad honores potiores per suffragium pervenerint, susceptionis munus perfungantur ita, ut salva sit dignitas quam habent, nec ex hac ordinatione curiale consortium pertimescant. Dat. Prid. Non. Avg. Sirmio Val(entini)ano et Valente AA. conss.
Tale intervento normativo stabilisce che i decurioni vengano esclusi dalla susceptio specierum e che venga creato nelle singole province un ruolo di esattori scelti ex corpore diversoum officiorum, cui affidare anno per anno la susceptio. Si tratta, in sostanza, di una riforma del sistema della riscossione dei tributi, che viene sottratta alle curie per essere affidata ad un corpo scelto di funzionari[68]: il tenore solenne del provvedimento e il confronto con la c. 5 h.t., che mostra come il principio fosse stato recepito anche nella pars Orientis, inducono, però, ad escludere che la c. 7 CTh. 12, 6 godesse – nonostante l’indirizzo al prefetto del pretorio d’Occidente – di una efficacia territorialmente circoscritta ad una sola parte dell’Impero. Essa appare verosimilmente espressione di un indirizzo legislativo comune a tutto l’Impero che, sebbene elaborato dalla sola cancelleria di Valentiniano, verrà confermato da Valente e applicato anche nella parte orientale[69].
A nostri fini, significativa appare pure la c. 6 CTh. 4, 12 ad senatus consultum Claudianum del 4 aprile 366:
Imppp. Valentinianus, Valens et Gratianus AAA. ad Secundvum praefectum praetorio. Si apud libi(di)nosam mulierem plus valuit cupiditas quam libertas, ancil(la f)acta est non bello, non praemio, sed conubio, ita ut eius (fili iu)go servitutis subiaceant. Manifestum est enim an(cil)lam esse voluisse eam, quam liberam esse paenituit. Dat. id. non. April. Triv(eris) Grat(iano) N. P. et Dagalaifo conss.
Il provvedimento, che ribadisce il principio già sancito dal senatoconsulto Claudiano[70], reca una subscriptio che indica in Treviri la località di emanazione, in apparente contrasto con il destinatario, che risulta essere un funzionario orientale, il prefetto del pretorio Secondo[71]. La inconciliabilità tra questi due dati, ricavati dall’esame palingenetico, viene generalmente risolta proponendo modifiche relative al luogo di emanazione[72]: ma, a tacere della dubbia fondatezza di tali soluzioni, risulta più corretto ritenere che una norma, di carattere così generale, come quella che ribadiva le gravi conseguenze per la donna e per i suoi figli in caso di unione con uno schiavo, avesse efficacia territoriale per tutto l’Impero e fosse stata, dunque, trasmessa a tutti i prefetti del pretorio. Anche in questa ipotesi, dunque, i compilatori avrebbero riportato nel codice l’esemplare indirizzato al funzionario orientale, casualmente rinvenuto negli archivi e di cui potevano più facilmente disporre[73].
Un altro esempio di rilievo, volto a confermare l’efficacia generale dei provvedimenti imperiali nella seconda metà del IV secolo, proviene dall’esame di un testo che nel Teodosiano risulta smembrato in due frammenti (CTh. 6, 4,18 e CTh. 12, 1, 67):
CTh. 6,4,18: Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Volusianum praefectum urbi. Legem divae memoriae Constan[ti]ni, qua editores munerum sive ludorum, si editions [te]mpore abesse voluissent, condemnari pro dignitatis [gra]du certa tritici quantitate praecepti sunt, fixam at[que in]violabilem volumus permanere. Sinceritas tua igi[tur abs]que his, quibus liberum conmeatum dementia no[stra] concesserit, in omnes reliquos promulgatam legem extendat. Data Mediolano, [Ac]cepta iii kal. Iul. Constantinopoli Valentiniano et Valente AA. conss.
CTh. 12,1,67 : Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Volusianum praefectum urbi. Nullus exceptis palatinis qualibet praerogativa fultus a debitis muneribus habeatur immunis. Dat. iiii kal. Iul. Med(iolano) Val(entini)ano et Valente AA. conss.
La subscriptio della prima costituzione, che ribadisce l’obbligo dei magistrati di rango senatorio di essere presenti in città per la editio munerum sive ludorum, sotto comminatoria di una multa frumentaria [74], è priva della data di emanazione ed il 28 giugno 365 figura come data in cui la norma sarebbe stata accepta a Costantinopoli. Il contrasto fra la destinazione a Volusiano, magistratus urbis Romae, e la ricezione nella capitale orientale, ha suscitato negli interpreti forti dubbi sulla attendibilità di tale subscriptio[75] e la propensione a considerare più corretta quella riportata dal secondo provvedimento[76].
Ma un rilievo di natura paleografica, finora ingiustamente trascurato, attesta come sia la subscriptio di CTh. 6, 4, 18 la più esatta: nell’unico codice, il Parisinus 9643, in cui la costituzione è conservata, esiste una lacuna dopo la parola finale promulgatam e fino a Mediolano, proprio nello spazio, cioè, in cui doveva trovarsi la data di emissione, uno spazio diverso e precedente rispetto a quello in cui è contenuta l’indicazione «accepta». La circostanza permette di accertare come entrambe le date figurassero nell’esemplare usato dai compilatori e come la prima sia scomparsa per una lacuna del manoscritto a noi pervenuto.
Pertanto, poiché la costituzione è stata ricevuta a Costantinopoli il 28 giugno 365, essa deve essere stata emanata qualche mese prima: rilievo compatibile con la destinazione a Volusiano, la cui presenza nella carica di praefectus urbi è attestata sin dall’aprile di quell’anno (CTh. 1, 6, 5). Nessun contrasto emerge dalla circostanza che la costituzione, emanata a Milano, fosse successivamente stata pubblicata nella capitale d’Oriente, in quanto interessava non solo il Senato di Roma, ma anche quello di Costantinopoli [77].
Analoghe considerazioni possono, infine, essere avanzate a proposito della c. 8 CTh. 7,1:
Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Equitium comitem et magistrum militum. Omnibus omnino veteranis auctoritas tua denuntiet, quod, si quis filium suum armorum honore condignum non propria voluntate militiae, quam ipse sudarit, ob [tu]lerit, nostrae sit legis laqueis inplicandus. Dat.viii kal. Oct. Heracleae Valentiniano et Valente AA. conss.
Il provvedimento, che figura emanato il 24 settembre 365 ad Eraclea, risulta indirizzato ad Equizio. Poiché, però, è certo che nel settembre di quell’anno Valente non potesse trovarsi ad Eraclea – per essere la sua presenza attestata a Cesarea in Cappadocia (Amm. 26, 7, 2) [78] – gli interpreti hanno ritenuto errata l’indicazione dell’anno consolare, anticipando l’emanazione al 364 [79]. Senonché, Equizio nel 364 era solo comes rei militaris per Illyricum (Amm. 26, 5, 3), non già magister militum, carica che assunse più tardi, in seguito all’usurpazione di Procopio. Tali incongruenze paiono potersi superare assumendo che la costituzione, indirizzata ai vari comandanti militari, tra i quali lo stesso Equizio, fosse stata emanata nel 365 in Occidente e non già ad Eraclea, dove può solo essere stata pubblicata [80]. La circostanza è confermata dal contenuto del provvedimento, che investe le esigenze militari di tutto l’Impero e che richiama l’applicazione di una norma più generale sugli obblighi dei figli dei veterani, già sanciti, in modo congiunto, da Valentiniano e Valente nei primi anni del loro governo comune[81].
- – Dall’esame del quadro normativo sopra delineato, è emerso come l’attività legislativa di maggiore rilievo fosse rappresentata dall’insieme delle costituzioni della cancelleria occidentale, da cui proviene la parte più consistente e qualitativamente più rilevante dei provvedimenti di carattere generale, che affrontano i temi centrali dell’Impero, dall’assetto amministrativo all’ordinamento giudiziario e allo svolgimento del processo, dal reclutamento dell’esercito alla riscossione delle imposte, sino alla gestione del patrimonio pubblico.
Del resto, non è possibile sostenere, non solo per ragioni statistiche, che tali norme di portata generale, benché indirizzate a funzionari occidentali, fossero destinate ad una applicazione limitata e circoscritta ai territori di quella sola parte dell’Impero: se così fosse, dato l’esiguo numero e la scarsa rilevanza di contenuto delle costituzioni riconducibili alla cancelleria di Valente, ne deriverebbe che per il dodicennio considerato, sarebbe in pratica mancato in Oriente un efficace impulso normativo e che i grandi problemi dell’Impero sarebbero stati affrontati solo in Occidente e per l’Occidente.
Vero è che esiste un certo numero di provvedimenti emanati sicuramente in Oriente, a Costantinopoli, Antiochia, Marcianopoli: ma si tratta di un numero troppo esiguo rispetto alla mole dell’attività normativa degli anni di governo comune per trarne una conclsuione di carattere generale, soprattutto considerando che molto spesso i provvedimenti provenienti dalle località orientali si occupano, come s’è visto sopra, di problemi locali e sono destinati a risolvere situazioni contingenti della pars Orientis. Anche quelle che investono problemi più generali, peraltro, non si può dire abbiano contenuto autonomo e del tutto indipendente dalla analoga diciplina della materia nella parte occidentale[82].
Credo dunque di potere sostenere, con buon fondamento, che l’attività normativa di maggiore rilievo fosse quella riconducibile alla cancelleria di Valentiniano, da cui proviene la quasi totalità delle disposizioni di carattere generale del dodicennio di correggenza: per questo, ritengo ancora oggi forse eccessivamente drastica l’affermazione in base alla quale l’ipotesi di una supremazia, sotto il profilo della produzione normativa, di Valentiniano sul fratello nel dodicennio di governo comune, che avevo avanzato or sono venticinque anni fa, debba considerarsi una “invenzione” [83] e resto convinto che meriti ulteriori approfondimenti la ricostruzione in base alla quale le costituzioni elaborate dalla cancelleria occidentale avessero vigore generale e prevedessero, pertanto, un’applicazione in entrambe le partes Imperii, indipendentemente dal formale indirizzo ricavabile dalla inscriptio, che, il più delle volte, rappresentava un dato del tutto casuale, legato alla provenienza del materiale utilizzato dai compilatori delle raccolte ufficiali.
Un approfondimento che potrà essere davvero proficuo, seguendo l’esempio di rigore e di metodo, a cui il Maestro che oggi onoriamo ci ha indirizzati nel corso di un lungo e fecondo percorso scientifico, i cui risultati costituiscono viatico imprescindibile per l’avanzamento dei nostri studi sul diritto della tarda antichità.
Prof. Federico Pergami
Dipartimento Studi Giuridici
Università “L. Bocconi” – Milano-
[1] F. Pergami, La legislazione di Valentiniano e Valente (364-375), Milano 1993.
[2] M. Sargenti, Presentazione di F. Pergami, La legislazione di Valentiniano e Valente (364-375), Milano 1993, vi ss.
[3] G. de Bonfils, La legislazione di Valentiniano e Valente, in INDEX 24 (1996) 394.
[4] De Bonfils, La legislazione di Valentiniano e Valente cit., 396.
[5] Sulle contrastanti opinioni cfr. F. De Martino, Storia della costituzione romana 5, Napoli 1975, 475 s. Anche di recente, L. De Giovanni, Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo tardoantico. Alle radici di una nuova storia, Roma 2007, 346 ss. dà conto del “dibattito suscitato da questa problematica” (ibidem, nt. 95). Ampia ed aggiornata rassegna bibliografica in P. Lepore, Un problema ancora aperto: i rapporti legislativi tra Oriente ed Occidente nel tardo Impero romano, in SDHI 66 (2000) 343 ss.
[6] J. Gaudemet, nell’affermare che “le débat est ouvert depuis longtemps” (Le partage législatif au Bas-Empire d’après un ouvrage récent, in SDHI (1955) 319, riteneva che proprio con l’avvento al potere di questi due imperatori, si sarebbe realizzata in maniera definitiva una divisione dell’Impero e che, di conseguenza, sotto il profilo normativo, “le partage législatif divient habituel” e precisava che, in relazione alle leges emanate nella seconda metà del IV secolo, dovesse valere il principio tassativo della «spécialité législative», in base al quale “les constitutions de la fin du IVème siècle n’avaient normalment elles aussi qu’un champ d’application limité” (Le partage législatif dans la seconde moitié du IV siècle, in Studi De Francisci 2, Milano 1974, 345 [ora in Études de droit romain 1, Napoli 1979, 157]): circostanza che troverebbe testuale conferma non solo nel carattere eminentemente regionale di molti provvedimenti – muniti di una efficacia territorialmente circoscritta – ma anche da un contrasto che si ravviserebbe nei differenti indirizzi normativi delle due partes Imperii: «Oevres d’empereurs différents et qui n’ont entre eux que des contacts rares, préparées par des chancelleries distinctes, adressées à des fonctionnaires qui ne relèvent que d’un des Augustes et dont la compétence territoriale est limitée». Ciò sebbene lo stesso Gaudemet rilevasse che, in altri periodi in cui si sarebbe realizzato un fenomeno di partizione legislativa e territoriale «dans certain cas, malgrè le partage de seige, l’unité législative reprend ses droits» poiché la «suprematie» di un imperatore «s’impose a son collegue» (cfr. ancora, Le partage législatif cit., 349, in cui l’autore sostiene che l’esempio più evidente di tale situazione si sarebbe verificato durante il periodo di governo di Valentiniano II e Teodosio I, in cui l’influenza preponderante di quest’ultimo imprime un carattere unitario a molti aspetti dell’attività normativa. Sul punto, cfr. J. R. Palanque, Collégialité et partage dans l’Empire romain aux IV e V siècles, in Revue des Études Anciennes 44 [1944] 47 ss.).
Nel senso di una netta divisione fra le due partes Imperii, anche R. Soraci, L’imperatore Valentiniano I, Catania 1971, 35 nt. 85: «Per quanto riguarda in particolare il problema amministrativo e legislativo, va precisato, però, che le esigenze diverse delle due parti dell’Impero portarono a una sempre più sostanziale divisione amministrativa e legislativa di questo»; A. Piganiol, L’Empire chrétien (325-395), Paris 1972, 150 ss.; G. Cervenca, Lineamenti di storia del diritto romano (sotto la direzione di M. Talamanca), Milano, 1989, p. 597, ha sostenuto che «il separatismo burocratico instauratosi tra le due partes Imperii sin dall’epoca dell’ascesa al trono dei figli di Costantino crea, quale necessaria conseguenza, una situazione di dualismo legislativo tra l’Oriente e l’Occidente». In tale senso, A. Burdese, Manuale di diritto pubblico romano, Torino 1987, 220 e V. Mannino, Ricerche sul «defensor civitatis», Milano 1984, 9 nt. 18 e la bibliografia citata. A favore di tale ipotesi, per quanto specialmente interessa evidenziare, De Bonfils, Commune imperium divisis tantum sedibus: i rapporti legislativi tra le partes imperii alla fine del IV secolo, in AAC 13 (2001), 107 ss., ove bibliografia, nonché, dello stesso autore, CTh. 12.1.157-158 e il prefetto Flavio Mallio Teodoro. Appunti per un corso di lezioni, Bari 1994, 29 ss.
[7] Così, A. Guarino, Storia del diritto romano9, Napoli 1993, 530, scrive che «ogni lex generalis, fosse essa emanata dall’imperatore d’Oriente o da quello di Occidente, aveva vigore per tutto il territorio dell’impero». Vedi, più di recente, S. Pietrini, Sui rapporti legislativi fra Oriente e Occidente, in SDHI 64 (1998), 519 ss., la quale, per sostenere la tesi dell’unità, parla di “principi costituzionali” (ibid. 520), sulla scia di T. Honoré, The making of the Theodosian Code, in ZSS 103 (1986), 177 e E. Dovere, Corpus Theodosiani: segno di identità e offerta di appartenenza, in Vetera Christianorum 44 (2007), 80, ma già in Ius principale e catholica lex, Napoli 19992, 121 ss.
[8] De Bonfils, La legislazione di Valentiniano e Valente cit., 396 “Si accetta senza dubbio il principio che ogni imperatore del IV secolo provvedesse a legiferare per il territorio posto sotto il suo controllo in modo autonomo rispetto al collega, o ai suoi colleghi”. Analogo ordine di idee anche in lavori più recenti, De Bonfils, Commune imperium divisis tantum sedibus cit., 119 ss., per il quale, nel racconto dello storico, “non vi è un riferimento tecnico ad una unità legislativa che non entra in alcun modo nel racconto orosiano”.
[9] Così, De Giovanni, Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo tardoantico cit., 347.
[10] Un analogo ordine di idee avevo ribadito in Pergami, Rilievi sul valore normativo delle costituzioni imperiali nel tardo Impero romano: Oriente e Occidente nella legislazione di Valentiniano I e Valente, in Il diritto romano canonico quale diritto proprio delle comunità cristiane dell’Oriente Mediterraneo (IX Colloquio Internazionale Romanistica Canonistico), Roma 1994, 137 ss.
[11] M.A. De Dominicis, Il problema dei rapporti burocratico-legislativi tra «Occidente ed Oriente» nel Basso Impero Romano alla luce delle inscriptiones e subscriptiones delle costituzioni imperiali, in RIL, 87 (1954), p. 337: “Mi sono inoltre preoccupato di prendere in esame le singole costituzioni in relazione alle epoche cui appartengono; perché soltanto in base a questa impostazione cronologica si potrà apprezzare il diverso atteggiarsi del sistema burocratico legislativo tra Occidente ed Oriente in rapporto ai diversi aspetti che l’ordinamento costituzionale dell’Impero assume nei diversi momenti”; J. Gaudemet, Rec. di M.A. De Dominicis, Le comunicazioni legislative nel Basso Impero (subscriptiones mutilae di costituzioni imperiali e loro ricostruzione. Trasmissione di costituzioni dal luogo di emissione alla località d’arrivo ed il calcolo del tempo impiegato dalle costituzioni), in RIL 83 (1950), in Revue de Droit Française et Etranger 30 (1952), 255: “Le courants doivent être envisagés séparément pour chaque période d’histoire, non pas globalment pour un siècle et demi plein de vicissitudes”; B. Biondi, La L. 12 Cod. de Aed. Priv. 8, 10 e la questione delle relazioni legislative tra le due parti dell’impero, in BIDR, 44 (1937) 363, [ora in Scritti Giuridici 2, Milano 1965, 27]: “Posto che le relazioni legislative non possono essere che in funzione dei rapporti politici tra quelle che furono le duae partes dell’impero, e degli ordinamenti statuali che si delineano in Occidente in confronto dell’impero d’Oriente, se si considera che questi rapporti sono quanto mai mutevoli, è chiaro che non solo bisogna distinguere le varie parti dell’Occidente, ma altresì i vari momenti storici”.
[12] M. Sargenti, Centralismo o autonomie nella tarda antichità? Posizioni attuali e prospettive future, in AAC 13, Napoli 2001, 809 (con specifico riferimento alla correggenza di Arcadio ed Onorio).
[13] T. Mommsen, Die Inschrift von Hissarlik und die römische Sammtherrschaft in ihrem titularen Ausdruck, in Gesammelte Schriften 4, Berlino 1910, 314.
[14] A. Nagl, Valentinianus, in PWRE 7 (1948) col. 2165.
[15] De Dominicis, Il problema dei rapporti burocratico legislativi cit., 399 s.: “il «separatismo» tra le due partes Imperii nel campo legislativo coesiste, giacché conciliabile, con il perdurare di «comunicazioni legislative» che si rendono possibili tra queste due partes a mezzo del sistema burocratico proprio dell’ordinamento costituzionale amministrativo del Basso Impero … l’unità costituzionale dell’Impero … faceva ancora sentire i suoi riflessi nell’ambito burocratico legislativo”.
[16] Amm. (Clark-Traube-Heraeus) 26, 4, 2.
[17] Amm. 26, 2, 3; 26, 4, 3.
[18] Amm. 26, 5, 2.
[19] Amm. 26, 5, 4.
[20] Amm. 27, 4, 1.
[21] Amm. 27, 6, 12.
[22] Valentiniano associa alla porpora imperiale il figlio Graziano, dopo la grave malattia da cui era stato colpito e in seguito alla confusa situazione che si era creata, che aveva scatenato le ambizioni e gli intrighi dei capi militari e degli ambienti di corte (Amm. 27, 6, 4-13). Vedi anche Socr., Hist. Eccl. (Hansen-Širinjan) 4, 11; Zos., Hist. Nova (Paschoud) 4, 12, 2). In ordine alla supremazia di Valentiniano, si legga anche A. Nagl, Valens, in PWRE 7A.2 (1948) 2098 ss. e G. De Bonfils, Ammiano Marcellino e l’imperatore, Bari 1986, 18.
[23] Amm. 26,5,11. La circostanza è confermata dalle misure militari adottate per l’Illirico con la nomina di Equizio a magister militum e l’incarico di provvedere alla difesa della Pannonia contro eventuali tentativi di invasione, memore della precedente esperienza di Giuliano, da parte del nemico: “His cognitis Valentinianus eodem Aequitio aucto magisteri dignitate repedare ad Illyricum destinabat, ne persultatis Thraciis perduellis iam formidatus invaderet hostili excursu Pannonias”.
[24] Amm. 26, 5, 12: “ardens ad redeundum eius impetus molliebatur consiliis proximorum, suadentium et orantium ne interneciva minantibus barbaris exponeret Gallias, neve hac causatione provincias desereret egentes adminiculis magnis”.
[25] Amm. 26, 5, 13: “hostem suum fratrisque solius esse Procopium, Alamannos vero totius orbis Romani”.
[26] Amm. 27, 2, 10: “Et post heac redunti Parisios post claritudinem recte gestorum imperator laetus occurrit, eumque postea consulem designavit, illo videlicet ad gaudii cumulum accedente, quod isdem diebus Procopii susceperat caput a Valente transmissum”.
[27] Sul problema della duplicazione della struttura amministrativa alla seconda metà del IV secolo, si leggano le ancora attualissime indagini di G. Dagron, Naissance d’une capitale. Costantinople et ses institutions de 330 à 451, Parigi 1974, 213 ss.
[28] Da Costantinopoli, ove gli imperatori trascorsero i primi mesi del 364, giunsero a Naisso attraverso la Tracia (Amm. 26, 5, 1) e successivamente a Sirmio: qui, diviso palatio … Valentinianus Mediolanum Constantinopolim Valens discessit. Vedi, anche, Amm. 26, 5, 4, nonché Zosimo, Hist. Nova, 4, 3, 2.
[29] Ammiano Marcellino, infatti, specifica che a Valentiniano furono assegnati Giovino, magister armorum per Gallias e Dagalaifo, militiae rector, mentre al seguito di Valente compaiono Vittore ed Arinteo (Amm. 26, 5, 2). È pure interessante sottolineare come lo storico, descrivendo l’assetto amministrativo dell’Impero al momento della separazione dei due Augusti, indichi distintamente solo i titolari delle prefetture che, essendo ormai grandi ripartizioni amministrative, esistevano anche nei momenti di governo unitario dell’Impero e non possono rappresentare, dunque, un indice di divisione territoriale (Amm. 26, 5, 5).
[30] Amm. 26, 4, 4.
[31] Amm. 27, 9, 2; 28, 6, 8; 29, 5, 2.
[32] Amm. 30, 2, 10.
[33] Amm. 26, 7, 4.
[34] Dalla corrispondenza di Libanio si conosce un agens in rebus molto influente a Corte, Decenzio, che avrebbe ricoperto la carica negli anni 364-365 ma che non è mai indicato come tale nelle fonti (A.H.M.Jones, J.R.Martindale, J. Morris, The Prosopography of the Later Roman Empire, Cambridge 1975-1980, 244, Decentius, 1); da alcune lettere di Basilio si è desunto che Sofronio (Jones, Martindale, Morris, Prosopography cit., 847, Sophronius, 3), notarius al tempo della usurpazione di Procopio, avrebbe rivestito la carica di magister officiorum, di cui, però, Ammiano Marcellino non fa menzione (Amm. 26, 7, 2). Da un’unica lettera di Basilio si desume la qualifica di magister officiorum per Imerio nel 378 (Jones, Martindale, Morris, Prosopography cit.,437, Himerius, 5). Cfr. A. Giardina, Aspetti della burocrazia nel basso impero, Roma1977, 40 ss.
[35] CTh. 5, 17, 3; CTh. 11, 12, 3 (CI. 4, 61, 6); CTh. 12, 6, 11 (CI. 10, 72[70], 4); CTh. 13, 1, 6.
[36] CTh. 5, 15, 19; CTh. 5, 15, 20 (CI. 11, 65[64], 4); CTh. 7, 7, 1; CTh. 10, 19, 4 (CI. 11, 7[6], 2); CTh. 12, 6, 13 (CI. 10, 70[72], 5); CI. 11, 62[61], 3; CI. 11, 63[62], 2.
[37] CTh. 9, 21, 7; CTh. 10, 21, 1 (CI. 11, 9[8], 1).
[38] CTh. 10, 17, 2 (CI. 10, 3, 6).
[39] CTh. 10, 20, 5; CTh. 10, 20, 7 (CI. 11, 8[7], 5).
[40] CTh. 9, 21, 8; CTh. 10, 20, 8; CTh. 10, 22, 1; CI. 4, 63, 2.
[41] Sulle incertezze in ordine alla successione dei comites sacrarum largitionum, cfr. Pergami, La legislazione cit., 245 ss. e la bibliografia ivi citata.
[42] Jones, Martindale, Morris, Prosopography cit., 876, Tatianus, 5.
[43] CTh. 6,9,1 : Imppp. Valentinianvs, Valens et Gratianvs AAA. ad (Ampelium praefectum urbi. Post alia: Eorum honores, qui sacrario n(os)tro explorata sedulitate oboediunt, hac volumus o(bser)vatione distingui, ut quaestor atque officiorum m(agis)ter nec non duo largitionum comites proconsula(rium) honoribus praeferantur. Et cetera. Dat. iii non. Ivl. N(aso)naci, Acc. iii non Sept. Modesto et Arintheo Conss.
Sul contenuto del provvedimento, parte di un testo più ampio, che stabilisce il rango dei più alti funzionari, cfr. A. Chastagnol, La Préfecture urbaine à Rome sous le Bas Empire, Parigi 1960, 433; Soraci, L’imperatore Valentiniano I, cit., 119 ss.; R. Andreotti, Incoerenza della legislazione dell’imperatore Valentiniano I, in NRS 15 (1931) 463 ss.; D. Vera, Alcune note sul quaestor sacri palatii, in Hestìasis. Studi Calderone (Studi tardo-antichi, 1 [1986]), 27 ss.; R. Delmaire, Largesses sacrées et res privata. L’aerarium imperial et son administration du IVe au VIe siècle, Parigi-Roma 1989, 39; P. Garbarino, Ricerche sulla procedura di ammissione al Senato nel Tardo Impero Romano, Milano 1988, p. 313 ss.
[44] Amm. 26, 4, 4; 27, 3, 11.
[45] Amm. 27, 6, 14; 27, 7, 6; 28, 1, 25. T. Honoré, The making of the Theodosian Code, in ZSS 103 (1986), p. 133 ss.
[46] Jones, Martindale, Morris, Prosopography cit., 77, Antonius, 5.
[47] Jones, Martindale, Morris, Prosopography cit., 140, Ausonius, 7; Honoré, The making of the Theodosian Code cit., 133 ss.
[48] Jones, Martindale, Morris, Prosopography cit., 5, Aburgius, 8; Honoré, The making of the Theodosian Code cit., 133 ss.
[49] Andreotti, Incoerenza della legislazione dell’imperatore Valentiniano I cit., 458.
[50] E. Volterra, Intorno alla formazione del Codice Teodosiano, in BIDR 83 (1980), 134 ss.; Id., Sul contenuto del Codice Teodosiano, in BIDR 84 (1981), 90 ss.; G.G. Archi, Le codificazioni post-classiche, in Atti del Convegno di Pavia, 26-27 aprile 1985, «La certezza del diritto nella esperienza giuridica romana» (curr. M. Sargenti, G. Luraschi), Padova 1987, 157 ss.; M. Bianchini, Caso concreto e «lex generalis», Milano 1979, 147 ss.
[51] Il provvedimento, che espressamente si riferisce ai navicularii intra Orientales provincias, richiama una precedente disposizione di Costanzo, che non è conservata, poichè nel Codice Teodosiano non esiste alcun provvedimento relativo al riordino del corpus naviculariorum (L. De Salvo, Economia privata e pubblici servizi nell’Impero romano. I corpora naviculariorum, Messina 1992). Non è, dunque, possibile stabilire l’esatto contenuto del provvedimento richiamato, di cui si dice solo che fosse stato applicato dal prefetto del pretorio d’Oriente Musoniano. In argomento, P. Cuneo, La legislazione di Costantino II, Costanzo II e Costante, Milano 1997,434; Ead. Economia di mercato e dirigismo nella normativa di Costanzo II in AAC 12, Napoli 1999, 203 ss.
[52] Sulle origini e sullo sviluppo del monachesimo orientale, vedi, per tutti, G. Barone Adesi, Monachesimo ortodosso d’Oriente e diritto romano nel tardo antico, Milano 1990.
[53] Sull’intervento dello stato nelle attività imprenditoriali private, si leggano le interessanti riflessioni di P. Cuneo, Economia di mercato e dirigismo nella normativa di Costanzo II cit., 206 ss.
[54] De Bonfils, La legislazione di Valentiniano e Valente, cit., 396: “quanto la posizione qui espressa sia lontana da ciò che F. Pergami scrive nella sua introduzione”.
[55] De Bonfils, La legislazione di Valentiniano e Valente cit., 397, sulla scia di O. Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Chr., Stoccarda 1919 (rist. 1984), 219.
[56] De Bonfils, La legislazione di Valentiniano e Valente cit., 397.
[57] Non sembra accettabile l’idea, prospettata in dottrina (Andreotti, Legislazione cit., 492 e Gaudemet, Partage législatif, cit., 332 s.), che la c. 57 CTh. 12,1 sia stata male interpretata e applicata, tanto da dovere essere “renouvelée” più volte, in primis con la c. 58 h.t.: non solo, fra la data di emissione dei due provvedimenti (7 maggio 364 – 13 maggio 364) non vi sarebbe stato neppure il tempo per applicare la prima e constatarne gli effetti, ma neppure di fare giungere al destinatario Mamertino la prima e pubblicarlo. In proposito, vedi Garbarino, Ricerche sulla procedura di ammissione al Senato nel tardo Impero romano cit., 110 nt. 69. Neppure ritengo accettabile l’idea di Gaudemet (Partage législatif cit., 333), sulla scia di Mommsen e Seek, accolta dal Garbarino, il quale riteneva che la c. 58 CTh. 12.1 sarebbe parte di un “grand édit sur les fonctionnaires et l’armée. In proposito, Federico Pergami, La legislazione di Valentiniano e Valente cit., 31 (in nota a CTh. 7,1,5).
[58] La data di emanazione della costituzione è indicata dubitativamente dal Mommsen (Codex Thodosianus, ad h.l.), il quale sottolinea come il provvedimento segua un provvedimento, indirizzato a Mamertino, del 30 gennaio 365 (CTh. 12,1,70, si cui, ampiamente, infra). L’attribuzione ad uno dei consolati imperiali successivi al primo è da escludere, poiché Auxonio, a cui la costituzione è indirizzata in qualità di vicarius dioeceseos Asianae, alla fine del 367 (o nei primi mesi del 368), ricoprì la carica di prefetto del pretorio (cfr. CTh. 1,16,19) fino alla morte avvenuta nel 369. Per la datazione agli anni successivi al 365, vedi Seeck (Regesten cit., 34) e Jones (Prosopography cit., 142, Auxonius, che propone il 366).
[59] CTh. 12,1,70: Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Mamertinum praefectum praetorio. Quisquis ex hoc corpore, quod susceptioni deputatum est, honorem quemlibet suffragio meruit, etiamsi nostras purpuras adoravit, meritis careat dignitatis. Dat. iii kal. Feb. Val(entini)ano et Valente AA. conss.
[60] CTh. 12,1,73: Imppp. Valentinianus, Valens et Gratianus AAA. Ad Symmachum proconsulem Africae. Qui nullo administrationis honore fultus, nullis vel palatini laboris insignibus vel meritis iustis militiae in consortium senatus nititur pervenire, missa in hanc rem legatione revocetur eique reddatur curiae, quam voluit declinare. Dat. prid. Kal. Dec. Treviris Valentiniano et Valente iiii AA. conss.
[61] Andreotti, Incoerenza cit., p. 502 ss. in part. 506; A.A. Barb, La sopravvivenza delle arti magiche. Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV, Torino 1968, 100 ss.; Soraci, L’imperatore Valentiniano I cit., 167 ss.
[62] Secundus Sallutius (o Sallustius), cui la costituzione è indirizzata, era prefetto del pretorio d’Oriente nel 364, come già in precedenza sotto Giuliano (Amm. 22, 3, 1; 25, 5, 5). Cfr. G. De Bonfils, Il comes et quaestor nell’età della dinastia costantiniana, Napoli 1981, 164 ss.
[63] Zos., Hist. Nova, 4, 3, 2.
[64] La dottrina è generalmente orientata ad attribuire la costituzione a Valente, con efficacia territorialmente limitata alla pars Orientis: Seeck, Regesten cit., 217; Andreotti, Incoerenza cit., 459 nt. 5; Gaudemet, Le partage législatif cit., 139, il quale, però, ritiene che la disposizione normativa sia stata applicata anche in Occidente e suppone che Valentiniano possa avere adottato una misura analoga (con provvedimento non conservato nelle raccolte ufficiali).
[65] In tal senso Gotofredo, Codex Theodosianus cum commentariis, Mantova 1740-1750, ad h.l., nonché, fra i moderni, Soraci, L’imperatore Valentiniano I cit., 194; Nagl, Valentinianus cit., 2199 ss.
[66] Il Seeck (Regesten cit., 33) posticipa la data della costituzione al 2 novembre 365 (conforme S. Mazzarino, Aspetti sociali del IV secolo, Roma 1951, 139), considerando che Valente si trovasse a Costantinopoli ancora il 30 luglio, come è dimostrato dalla data della successiva c. 8 h.t., e che Secundus Sallustius doveva essere stato sostituito come prefetto del pretorio da Nebridio. Ma una soluzione del genere contrasta con le notizie ricavabili dal racconto di Ammiano Marcellino sul viaggio di Valente: l’imperatore aveva lasciato Costantinopoli già alla fine dell’inverno (Amm. 26, 6, 11: “consumpta hieme”), aveva attraversato la Bitinia, dove aveva ricevuto notizia della minaccia gotica sulla Tracia (Amm. 26, 6, 11: “iamque fines Bithynorum ingressus docetur relationibus ducum gentem Gothorum ea tempestate intactam ideoque saevissimam conspirantem in unum ad pervadenda parari conlimitia Thraciarum”). Durante l’estate si era fermato in Cappadocia, per evitare il caldo eccessivo della Cilicia, e si trovava ancora a Cesarea alla fine di settembre, in procinto di proseguire verso Antiochia, “vaporatis aestatibus Ciliciae iam lenitis” (Amm. 26, 7, 2). La datazione a Cesarea il 4 luglio 365 collima, dunque, con il racconto di Ammiano, mentre non risulta corretta la data del 30 luglio da Costantinopoli della successiva c. 8 h.t., che – in quella città – può solo essere stata pubblicata [sul punto, cfr. Federico Pergami, La legislazione cit., 249].
Quanto al destinatario, è vero che al momento del colpo di stato di Procopio (28 settembre 365) a Costantinopoli si trovava come prefetto del pretorio Nebridio, che Ammiano dice recens promotus in locum Sallusti e che fu arrestato per ordine dell’usurpatore (Amm. 26, 7, 4; Zos., Hist. Nova, 4, 6, 2): a bene vedere, il “recens promotus” riferito alla fine di settembre non esclude che Sallustio fosse in carica ancora all’inizio di luglio, per essere la sua sostituzione avvenuta più tardi.
[67] Il provvedimento, posposto nel Codice Teodosiano alla c. 5 h.t., perché apparentemente emesso in data successiva, è – nella realtà – di qualche mese anteriore. La costituzione, infatti, non può essere stata emanata a Sirmio il 4 agosto 365, sia perché in quel mese dell’anno 365 Valentiniano e Valente non erano più in quella città, dove avevano sostato nel luglio dell’anno precedente (Amm. 26, 5, 4), sia perché Mamertino non era più prefetto del pretorio, per essere stato sostituito nella carica da Vulcacio Rufino (CTh. 9, 30, 3; CTh. 12, 1, 66). Nonostante tali incongruenze, alcuni studiosi conservano la data del 365 (E. Meyer, Kaiser Valentinianus in Zurich ?, in ZSS 23 [1943], 288; De Dominicis, Il problema dei rapporti burocratico legislativi cit., 346); mentre altri, pure senza giustificare una difficile modifica paleografica da «Divo Ioviano et Varroniano» a «Valentiniano et Valente», riportano la costituzione all’anno 364 (J. R. Palanque, Essai sur la préfecture du pretoire du Bas-Empire. Appendice A. Les Préfectures de Probus, Paris 1933, 42 nt. 39; Gaudemet, Le partage législatif cit., 138 nt. 8; Mazzarino, Aspetti sociali del IV secolo cit., 187; Soraci, L’imperatore Valentiniano I cit., 92 nt. 38). Pare più corretta l’ipotesi del Mommsen (ad h.l.), il quale riteneva che Sirmio fosse il luogo di pubblicazione del provvedimento, che doveva essere stato emanato qualche mese prima, ma ancora nel 365. L’anno consolare, esattamente indicato, sarebbe privo, perché verosimilmente caduta, della indicazione della data e del luogo di emanazione. In argomento, Federico Pergami, La legislazione cit., 255 s.
[68] S. Puliatti, Nota sulla evoluzione del condono fiscale da Costantino a Giustiniano, in Studi Guarino, Napoli 1984, 1723; Mazzarino, Aspetti sociali del IV secolo cit., 187 ss.; A. Giardina-F. Grelle, La Tavola di Trinitapoli: una nuova costituzione di Valentiniano I, in MEFR 1983, 273 ss.
[69] In tal senso Mazzarino, Aspetti sociali del IV secolo cit., 139, che considera la costituzione come un esempio dell’adeguamento della politica di Valente all’indirizzo del fratello, “dopo un’incertezza che si protrae sin verso il novembre 365”. L’Andreotti (Incoerenza cit., 458 nt. 5) e il Gaudemet (Le partage législatif cit., 144 nt. 7) considerano, al contrario, questa costituzione quale esempio della divergenza tra normativa orientale ed occidentale regolante la medesima materia.
[70] Sul contenuto della costituzione cfr. B. Biondi, Vicende post-classiche del Sc. Claudiano, in IVRA 3 (1952), 142 ss. (ora in Scritti giuridici cit., 142 ss.); W. Waldstein, Schiavitù e cristianesimo da Costantino a Teodosio II, in AAC 8, Napoli 1990, 137, nt. 59.
[71] Mommsen, ad h.l.: “Cum ad Secundum Ppo Orientis rescriptum dari non potuerit Treviris, aut inscriptio corrupta est aut inscriptio et subscriptio male coniunguntur”.
[72] Seeck (Regesten cit., 109) suggerisce che la località indicata nella subscriptio vada corretta in Thyatira, dove l’imperatore Valente, cui andrebbe attribuita la costituzione, si trovava nella primavera del 366, impegnato nella campagna contro l’usurpatore Procopio (Zos., Hist. Nova, 4, 8, 1).
[73] Così, seppure isolato, De Dominicis, Il problema dei rapporti burocratico-legislativi, 387 ss.
[74] La sanzione è contenuta in una lex divae memoriae Constantini, che Valentiniano dichiara di mantenere fixa atque inviolabilis, ma non riportata nel Teodosiano: esso, invece, contiene due disposizioni che la presuppongono, in quanto esonerano dalla condemnatio frumentaria i designati alla questura intra annum sextum decimum (CTh. 6, 4, 1) e, più in generale, tutti i designati alla magistratura prima dei venti anni (CTh. 6, 4, 2).
[75] Gaudemet, Le partage législatif cit., 326.
[76] Mommsen (ad h.l.): “cum praesertim pugnent inter se magistratus urbis Romae et subscriptio Constantinopolitana”.
[77] De Dominicis, Le comunicazioni legislative cit., 41 s.; Id., Il problema dei rapporti burocratico-legislativi cit., 398; Garbarino, Ricerche sulla procedura di ammissione al Senato cit., 102 nt. 54; P. Voci, Il diritto ereditario romano nell’età del Tardo Impero, in Studi Sanfilippo 2, Milano 1982, 723.
[78] Amm. 26,7,2: “Valentem a Caesarea Cappadocum iam profecturum ut vaporatis aestatibus Ciliciae iam lenitis ad Antiochiae percurreret sedes”.
[79] Seeck, Regesten cit., 85; Andreotti, Incoerenza cit., 459 nt. 3. Riportano la costituzione al 366, Jones, Martindale, Morris, Prosopography cit., 282, Equitius, 2. Ad Eraclea, Valente si sarebbe trovato nel 364 secondo Sozomeno: Hist. Eccl. (Bidez-Hansen), 6, 7, 8.
[80] Mommsen, ad h.l., il quale rileva che l’anno 365 è reso plausibile dall’ordine delle costituzioni del Teodosiano (maggio 365 la c. 7; gennaio 367 la c. 9 h.t.): “Annum determinat lex quae sequitur a. 367”.
[81] La norma generale pare potersi identificare nella c. 5 h.t.: Impp. Valentinianvs et Valens AA. Eorum liberos, qui armis inhaeserunt, ad usum bellicum et castra revocantes [ei]s quoque eorum stipendiorum copiam deferemus, qui alterius gradus militia salutarem maxime rei publicae operam, persecuntur. Quod si quosdam aut imbecillitas valitudinis aut habitudo corporis [a]ut mediocritas proceritatis ab armatae militiae con[d]icione submoverit, eos iubemus in officiis ceteris militare. Nam si post definitam a nobis aetatem ignobile otium adamaverint, curiis obnoxii erunt sine controversia pro virium qualitate, ita ut ii, quos debilitas fortuita aut morbus et corporis valitudo confecta ita enervaverit, ut ad usum castrorum militiaeque idonei esse non possint, vacationem perpetuam depulsis curialium munerum sollicitudinibus consequantur. Et cetera. Dat. III K. Mai. Hadrianop(oli) Divo Ioviano et Varroniano Conss.
[82] Un’indicazione significativa in tale direzione, del resto, emerge dalle parole di Orosio, che all’inizio del V secolo, a proposito del periodo di correggenza di Arcadio ed Onorio, scriveva che i sovrani commune imperium divisis tantum sedibus tenere coeperunt, per indicare una gestione unitaria del potere, anche sotto il profilo legislativo: Or., Hist. adv. Pag. (Lippold) 7, 36, 1.
[83] De Bonfils, La legislazione di Valentiniano e Valente cit., 396: “…questa invenzione è ricavata dal rilievo che per questo periodo non vi sarebbero sicure indicazioni dell’apparto governativo, ad Occidente e ad Oriente. A questa affermazione non seguono prove…”.