- Come in tutti i settori del diritto, anche in tema di rapporti fra Stato e Chiesa, l’esperienza giuridica romana offre elementi di conoscenza e di riflessione che meritano approfondimenti ed indagini.
In limine, sia precisato che i rapporti fra autorità civile e autorità religiosa, sotto lo specifico profilo delle reciproche sfere di autonomia, non si esauriscono, come è ovvio, nella vicendevole compresenza, nell’uno o nell’altro ordinamento, di elementi di ciascun sistema, bensì nell’atteggiamento, singolarmente mutevole nel corso dei secoli, dell’esercizio di un potere, laico o religioso, nell’ambito dell’ordinamento giuridico destinato a regolare i rapporti fra i consociati.
- Nel nostro ordinamento di rango costituzionale, pur nella consapevolezza della laicità dello Stato, affermata dall’art. 3, in virtù del quale “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione … di religione”, nonchè dall’art. 8 che sancisce come “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere di fronte alla legge”, emerge con chiarezza una prevalenza della religione cattolica, come è attestato, oltre che in modo implicito dal secondo comma (“Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”) e dal terzo comma dello stesso articolo (“I loro rapporti sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”), dalla esplicita stipula di accordi che regolano i rapporti fra lo Stato e la Chiesa, riconducibili ai Patti Lateranensi del 1929 e, di fronte alla necessità di revisione delle norme concordatarie per armonizzarle ai principi costituzionali del 1948, all’”Accordo di modificazione del Concordato Lateranense” del 18 febbraio 1984 (l. 25.3.1985 n. 121). Ne fa espresso cenno, del resto, il secondo comma dell’art. 7 della Costituzione, in base al quale i rapporti fra Stato e Chiesa “sono regolati dai Patti Lateranensi”, precisando che “le modificazioni dei Patti accettati dalla due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.”.
- In linea generale, la prevalenza della religione cattolica nelle fonti giuridiche dello Stato italiano trova esplicita conferma nel dettato del primo comma dell’art. 7 della Carta costituzionale, che sancisce come “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Affermazione che, quantomeno sotto il profilo formale, consente a ciascuna della due istituzioni di stabilire in autonomia, nell’ambito delle rispettive giurisdizioni, la regolamentazione dei comportamenti tenuti dai cittadini sottoposti al potere temporale o a quello spirituale. Con la conseguenza che, non traendo autorità l’una dall’altra, i due ordinamenti attengono, quello della Chiesa, alle vicende spirituali e religiose; quello dello Stato ai rapporti materiali e laici.
Opzione interpretativa, quest’ultima, riconosciuta e rafforzata anche nelle disposizioni del cd. Nuovo Concordato del 1984 che, infatti, all’art. 1 prevede che “La Repubblica e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno del proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.
- Un’indagine sull’esercizio del potere giurisdizionale nell’esperienza giuridica romana e sulle influenze che quel sistema ha avuto sull’esperienza contemporanea offre all’operatore del diritto opzioni interpretative idonee ad individuare reciproche influenze fra le rispettive sfere giuridiche, quale obiettivo riflesso dell’atteggiarsi dei rapporti fra autorità statale e potere religioso.
Al riguardo, il periodo storico di maggiore interesse nell’esperienza giuridica romana, dal quale prendere le mosse, è certamente il IV secolo dopo Cristo, nel corso del quale, l’attività normativa offre testimonianza di interventi legislativi che costituiscono i capisaldi della generale riflessione in materia.
Infatti, nella storia dei rapporti fra Stato e Chiesa, un ruolo centrale assume, come è noto, l’editto di Milano dell’anno 313 d.C., in virtù del quale gli imperatori Costantino e Licinio, sulla scia di quanto stabilito dal predecessore Galerio, concessero ai cristiani la più ampia libertà di culto, dichiarando il Cristianesimo quale “licita religio”, accolta al pari delle altre religioni ammesse, disponendo a favore dei sudditi la restituzione dei beni confiscati durante il regno di Diocleziano.
Si trattava -ed era il riflesso- di una radicale modificazione dei rapporti fra il sovrano e la Chiesa, destinata ad influenzare, anche sotto il profilo formale, il culto imperiale: Costantino, infatti, pur non potendosi più considerare dominus et deus, mantenne fede alla tradizionale funzione del governo romano, che si concretizzava nel mantenimento della pax deorum, con il deliberato scopo di garantirsi la benevolenza degli dei verso l’impero, assumendosi, in quanto imperatore, la responsabilità di assicurare ai sudditi dell’impero il favore e il sostegno della divinità suprema: sentimenti certamente radicati in lui che, come è noto, riteneva di essere stato personalmente prescelto ed elevato alla porpora imperiale da Dio.
Secondo il racconto di Lattanzio (De mort. Pers., 44.5), infatti, alla vigilia della decisiva battaglia di Ponte Milvio, Costantino sarebbe stato avvertito in sogno di far contrassegnare gli scudi dei suoi soldati con il monogramma cristiano e di dare battaglia contro il suo avversario Massenzio nel nome di Cristo.
Ancora, il biografo dell’imperatore, Eusebio di Cesarea (Vita Const. 1,28-30) aggiunge al sogno anche una visione celeste, che sarebbe consistita nel segno luminoso di una croce recante la celebre iscrizione “in hoc signo vinces” (con questo segno vincerai).
Era questo, del resto, l’adìto per l’emanazione, nell’anno 380, da parte dell’imperatore Teodosio, dell’editto di Tessalonica, nel quale il Cristianesimo assume il ruolo di religione ufficiale, come risulta da un celebre costituzione imperiale, raccolta del Codice Teodosiano, nel titolo De fide catholica (CTh. 16.1.2): si trattava, in sostanza, di dare corpo ad un principio efficacemente reso con l’espressione “cuius regio eius religio”, che imponeva ai sudditi dell’Impero la religione del sovrano, attribuendo a quella cattolica il rango di religione di Stato.
Patrocinante avanti alle Magistrature Superiori
Professore presso il Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università Bocconi