NEXT GENERATION EU E RIFORMA DELLA PRESCRIZIONE:
PROBLEMI VECCHI E NUOVI IN TEMA DI
«RAGIONEVOLE DURATA» DEL PROCESSO
- Per fronteggiare le conseguenze prodotte dall’emergenza epidemiologica da Covid 19, l’Unione Europea ha emanato, unitamente al bilancio a lungo termine, il programma, con orizzonte temporale più limitato, denominato Next Generation EU (NG-EU) che, fra le varie articolazioni che lo caratterizzano, si prefigge lo scopo di contribuire ad individuare una serie di strumenti finalizzati -attraverso investimenti in vari settori- al rilancio e alla ripresa economica degli Stati Membri, imponendo l’attuazione di una serie di rilevanti riforme ai singoli Stati membri.
Il primo e più ambizioso dei due programmi dell’Unione Europea si articola in sei differenti “missioni” e impone agli Stati membri l’adozione di una serie di riforme strutturali e relativi investimenti, da concentrare su determinate aree di intervento (flagship areas), denominate -nel loro complesso- Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR): fra queste, ai fini del presente contributo, rileva quanto il governo italiano intende approntare nel settore della giustizia, con il deliberato scopo di migliorare l’efficienza del sistema processuale interno.
Va detto subito, infatti, che uno dei profili di maggiore criticità, che il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza considera obiettivamente ostativo alla crescita del nostro Paese, è stato individuato nella irragionevole durata dei tempi per la definizione dei processi, che l’Unione Europea intende superare mediante l’attuazione di riforme legislative strutturali (orizzontali o di contesto, nella stessa terminologia del Piano), concretamente realizzabili anche attraverso l’implementazione dei sistemi informatici e tecnologici di cui si avvale il sistema giudiziario per la gestione telematica delle attività processuali, con specifica attenzione al processo di digitalizzazione delle Pubbliche Amministrazioni, sia mediante l’aumento degli addetti al sistema, per un verso aumentando il numero dei giudici cui affidare la soluzione delle controversie, per altro verso, fornendo un adeguato supporto di personale tecnico-amministrativo, oltre che grazie ad un generale programma di ristrutturazione e riconversione degli edifici pubblici, destinati all’esercizio dell’attività giudiziaria.
Fra i vari ed articolati interventi, che sono stati programmati sia nel settore civile che in quello penale, spicca -per l’importanza che assume sull’intero sistema processuale- il tema della prescrizione del reato, la cui disciplina viene considerata uno strumento idoneo a realizzare un’accelerazione dei tempi, oggi irragionevoli, di definizione dei giudizi pendenti.
- Tale disciplina, che mira ad introdurre, nel sistema processuale vigente, un meccanismo finalizzato -nelle esplicite intenzioni dei suoi estensori- a garantire, anche a presidio del correlato principio costituzionale dell’art. 111, una ragionevole durata dei processi e una più rapida definizione delle liti, specialmente nei gradi successivi al primo, con le relative eccezioni per i casi ritenuti eccezionali, non costituisce affatto una novità nel panorama della nostra tradizione giuridica, che -anche in prospettiva storica- mostra di avere affrontato identiche anomalie e problematiche del sistema processuale.
Ne costituisce esempio la legislazione dell’esperienza giuridica romana, segnatamente in relazione al processo dell’ultima fase di evoluzione del processo, quello della cognitio extra ordinem, che, infatti, attesta la costante preoccupazione degli imperatori di evitare la tendenza, espressa nel significativo sintagma ciceroniano, reso con l’espressione “tardissime iudicare”, che evidentemente caratterizzava l’esercizio dell’attività giurisdizionale da parte dei giudici dei tribunali di epoca tardoantica, di una durata irragionevole dei tempi dei giudizi.
In particolare, la normativa imperiale dei secoli IV e V, infatti, offre interessanti spunti in materia, da cui è possibile ricavare una serie di interventi normativi, che riecheggiano quelli attualmente in discussione in Parlamento, volti a fissare una durata massima per lo svolgimento dei processi, con particolare riferimento ai giudizi di secondo grado, nonché ad introdurre, per casi ritenuti eccezionali, una serie di deroghe al rigore della normativa emergenziale.
È noto, del resto, che un settore nel quale il legame fra l’esperienza giuridica romana e quella del moderno diritto comune europeo risalta con maggiore evidenza sia quello processuale, destinato a garantire, in ogni tempo, l’applicazione, anche in forma coattiva, dei principi regolatori della convivenza sociale per il raggiungimento di quella iustitia, che costituisce -in ogni tempo- l’obiettivo di ogni ordinamento giuridico.
In questo contesto, assume speciale rilevanza la circostanza di come le fonti romane, anche non giuridiche, proprio in relazione allo svolgimento del processo, abbiano individuato una serie di principi generali, in presenza dei quali un processo potesse definirsi “equo”, cioè appunto, l’aequum iudicium tramandatoci dalla tradizione storica, in particolare, del diritto romano: è, dunque, solo quando gli interessi dei cittadini possono realizzarsi all’esito di un giudizio connotato da principi condivisi, non solo a livello interno, bensì anche in ambito europeo che è possibile parlare di “giusto processo”.
Toga Lecchese – settembre 2021
Patrocinante avanti alle Magistrature Superiori
Professore presso il Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università Bocconi